Archive for Maggio 2008

La Bellezza del Deserto

29 Maggio, 2008

La parashà di questa settimana che apre il quarto libro della Torà, si chiama Bemidbàr, ossia “nel deserto”. Il Midràsh dice: “La Torà è stata data specificatamente alla [generazione che] mangiava la manna” (Mechilta, Beshalach). Cerchiamo di capire perché.

Nel deserto non ci sono fabbriche né grattacieli di uffici. Quindi vivendo nel deserto, probabilmente non avresti un lavoro. Non ci sarebbe un capo né degli impiegati.

Nel deserto non ci sono né città né zone, quindi non ti troverai mai dalla parte sbagliata. Non ci sono grandi magazzini né negozi di alimentari, quindi indosseresti le stesse scarpe per quarant’anni e mangeresti la manna dal cielo.

È per questo, dichiarono i nostri saggi, che D-o ci diede la Torà proprio nel deserto.

Se l’avesse dato a Wall Street, avrebbe dovuto decidere chi nominare al consiglio d’amminstrazione e a chi dare la maggior parte delle azioni. Se l’avesse dato nella Terra Santa, avrebbe dovuto decidere se darla nella religiosa Gerusalemme, la mistica Tzefat o la hi-tech Tel Aviv.

D-o non voleva degli azionisti nella sua Torà, né un’infrastruttura aziendale e nessun contesto sociale o politico. In effetti, non voleva nessun contesto in assoluto. Solo noi e la Torà.

Non sarebbe stato grandioso rimanere nel deserto?

Dal momento che D-o era sicuro che avevamo percepito il messaggio — che la Torà non è un prodotto di un’era, un’atmosfera o un ambiente culturale particolare e che appartiene per intero ed in assoluto ad ognuno di noi — ci ha mandato nelle città e nei villaggi del Suo mondo, alle fattorie e i mercati, alle università e gli uffici.

Ci ha detto che Lui aveva già fatto la Sua parte e che adesso tocca a noi far sì che la Torà sia rilevante in tutti questi posti ed in tutti questi contesti.

In ogni modo, è sempre bello tornare nel deserto di tanto in tanto. Almeno per una visita.

Di Yanki Tauber per Chabad.org,
adattato e tradotto da Rav Shalom Hazan
Basato sulle opere del Rebbe di Lubavitch
זי“ע

Che cosa è Lag Ba’Omer?

25 Maggio, 2008

La risposta si trova in un piccolo libretto pubblicato da rav Shalom Hazan di Chabad Monteverde in onore del Bar Mitzvà di Avi Zanzuri. Il libretto “espone alcune delle motivazioni e le dinamiche storiche che hanno portato alla nascita di questo giorno festivo”.

Clicca qui per sfogliarlo (PDF)

Il Mestiere dell’Ebreo

23 Maggio, 2008

Oggi è il diciottesimo giorno del mese ebraico di Iyàr, che corrisponde al trentatreesimo giorno del conteggio dell’Omer, e fu il giorno nel quale cessò la piaga che colpì i discepoli di Rabbì ‘Akivà. Il lutto che si osserva durante il periodo dell’Omer è quindi sospeso e si celebra la giornata con gite all’aperto, musica e vari generi di divertimenti per i bambini.

Lag Ba’Omer è anche il giorno della scomparsa di uno dei più illustri discepoli di Rabbì ‘Akivà, Rabbì Shimòn bar Yochai. In questo giorno, molti si recano alla tomba di questo grande saggio e mistico, a Miròn, in Galilea.

Prima di lasciare questo mondo Rabbì Shimòn impartì ai suoi discepoli di celebrare il momento come “il giorno della mia gioia”.

I maestri chassidici spiegano che l’ultimo giorno della vita di uno tzaddìk rappresenta il momento in cui tutti i suoi insegnamenti, le sue azioni e il suo operato raggiungono il culmine della perfezione e l’apice del loro effetto sulla vita di tutti noi.

Rabbì Shimòn, nel suo impegno assoluto nello studio della Torà, rientrava nella stretta cerchia di persone a cui venne attribuito il titolo di “Toratò Umanutò”, ossia di cui “la Torà è il mestiere”. Questa definizione halachica esonera coloro a cui viene attribuita da varie mitzvòt, a causa del loro impegno costante nello studio.

Anche tra i Tannaìm, i maestri della Mishnà, non molti arrivarono a questo livello. Ciò nonostante, qualche lezione dalla vita di Rabbì Shimòn la può trarre ognuno.

Infatti è possibile per ognuno considerare lo studio della Torà come se fosse il proprio mestiere.

È chiaro che un artigiano si occupa anche di altre cose a parte il suo mestiere. Al tempo stesso, l’occupazione principale sulla quale concentra le sue forze e rivela i suoi talenti è comunque nell’ambito del suo mestiere.

Lo stesso vale per lo studio della Torà di ogni ebreo. Ovviamente è la Torà stessa a riconoscere la necessità di lavorare e curare i vari aspetti della vita quotidiana terrena. Tuttavia, ciò non va in contrasto con i momenti dello studio, al contrario, la vita materiale inizia a riflettere e ad essere un’espressione pratica  dello studio.

Ma c’è qualche cosa in più. Nel momento stesso che l’ebreo studia la Torà  — questo vale non solo per la Torà nel senso stretto del Pentateuco, ma per tutto il corpo di studio ebraico — è come se non avesse alcuna altra occupazione al mondo.

È un ebreo che sta studiando la Torà. È il suo mestiere.

Basato sulle opere del Rebbe di Lubavitch זי“ע

Reality Show

16 Maggio, 2008
Nel periodo tra Pesach e Shavuòt, si usa studiare ogni Shabbàt un capitolo delle “Massime dei Padri” (Pirké Avòt), un trattato della Mishnà colmo di isnegnamenti dei saggi sull’etica ebraica e sul comportamento corretto in campi non sempre resi chiari dalle normative della Halachà.
Il terzo capitolo, che studiamo questo Shabbàt, si apre con il consiglio di Rabbì Akavià: “Considera tre cose e non peccherai: 1) Da dove sei venuto, 2) Dove ti stai recando e 3) Davanti a chi dovrai dare il giudizio e il resoconto.
“Da dove sei venuto? Da una goccia putrida. Dove stai andando? Ad un posto di polvere e vermi. Davanti a chi dovrai dare il giudizio il resoconto? Davanti al Re dei re, il Santo, benedetto Egli sia.”
Questo brano di Mishnà ci invita, chiaramente, a prendere in considerazione le cose più importanti della vita, in modo che questi pensieri ci aiutino a chiarire le nostre priorità evitando così di peccare.
Sembra strano, però, che davanti alla Corte Celeste l’anima dovrà rendere un “giudizio e un resoconto”; non è il resoconto che dovrebbe precedere il giudizio? Prima si fanno i “conti” e poi si decide…
Il Ba’al Shem Tòv spiega la Mishnà in questo modo: Quando un’anima lascia questo mondo non c’è nessuno che è all’altezza di giudicarla. Poichè l’anima è una parte di D-o stesso (Giobbe 31, 2) e neanche gli angeli possono avere una posizione di autorità su di essa.
Come si fa allora a giudicarla per degli eventuali peccati? La si fa vedere una storia simile alla sua ma con altri protagonisti, in modo che non sa che è di lei stessa che si tratta. La sentenza che l’anima propone per “l’altro” viene applicata alla stessa.
È quindi esatto l’ordine della Mishnà mettendo prima il giudizio, la sentenza, che viene poi applicato anche al suo resoconto.
Da questo forse possiamo capire l’importanza di un’anima. Nonostante si tratti di un’anima che ha peccato non la si può giudicare direttamente poichè “l’ebreo anche se pecca, è sempre ebreo” (Sanhedrìn 44a).

La Kabbalà del Matrimonio

7 Maggio, 2008

Clamoroso successo per la conferenza che abbiamo tenuto, Rav Ronnie Canarutto ed io, sulla Kabbalà del Matrimonio. Ringraziamo la famiglia Guetta per la meravigliosa ospitalità. Hazzak!

E per quelli che non sono venuti… potete partecipare lo stesso, cliccando qui per sentire le lezioni. La prima è di Rav Ronnie e la seconda è la mia.

Per un link più veloce cliccate qui (si apre in WindowsMedia).

Un ringraziamento a Tali per la registrazione.

Non dimenticate di commentare!
Rav Shalom