Nella Torà, anche la prossimità di due brani particolari può fare da spunto per approfondimenti, lezioni e applicazioni pratiche.
All’inizio della parashà di questa settimana D-o istruisce Aharon di accendere la menorà. Rashì, il commentatore per eccelenza, cita il Midrash che spiega il legame tra questa mitzvà e l’ultima parte della Parashà precedente che ci raccontava dei doni offerti dai capitribù per l’inaugurazione del Mishkàn.
Quando Aharon vide il contributo dei capitribù si sentì a disagio per il fatto che né lui né la sua tribù prese parte nel contributo. HaKadosh Baruch Hù gli disse: “Giuro che a te spetta un servizio più importante, perché tu accenderai e preparerai i lumi.”
Aharon, quindi, era triste perchè non ha avuto il merito di partecipare alle offerte inaugurative con tutti i capitribù, e la mitzvà della menorà diventa una risposta e una consolazione per lui.
Ma perché Aharon fu così dispiaciuto? È chiaro che lui e la sua tribù sono stati separati da tutto il popolo proprio per essere completamente dedicati al servizio del Mishkàn, il Tabernacolo. Colui che si occupava del servizio del mishkàn, anche per le offerte dei capitribù, era niente meno che Aharon stesso!
Possiamo capirlo precisando le parole di Rashì: Si sentì a disagio.
Aharon era completamente dedicato a quello che era la sua opera di vita, al servizio di HaKadosh Baruch Hù nel Suo tempio. Egli voleva partecipare alle offerte dell’inaugurazione perché non poteva assistere a una mitzvà fatta nella casa di D-o senza prenderne parte. Specialmente in questo caso che si trattava di un servizio inaugurativo, quindi nuovo e di base. Quando vide questo, non fu geloso, ma si sentì comunque a disagio.
Ciò può servire come lezione anche per noi: Quando vediamo una nuova iniziativa ebraica, quanto più se riguarda l’educazione — inaugurazione (Chanukà) in ebraico è legato a educazione (Chinuch)—ci dovrebbe turbare il “perchè non sono coinvolto anch’io”.
Ma non dobbiamo sentirci a disagio. Possiamo, e quindi dobbiamo essere coinvolti.
Basato sulle opere del Rebbe di Lubavitch זי”ע
Mare, Montagna o… Deserto?
20 giugno, 2008Durante il viaggio degli ebrei attraverso il deserto verso la Terra Promessa non sono mancati i momenti problematici. Forse quello più tragico è stato l’episodio degli esploratori, i meraglìm.
Dopo l’esplorazione di tutta la Terra quasi tutti i rappresentanti delle dodici tribù diedero espressione alle loro impressioni negative di essa, dicendo che gli abitanti fossero troppo potenti, le città fortificate inconquistabili, la terra inospitale, e così via.
La gravità del loro peccato e le conseguenze sono ben note. Il popolo ebraico ha dovuto subire una permanenza di quarant’anni nel deserto, finché non fossero morti tutte le persone della generazione uscita dal Egitto. Come sempre, l’aspetto mistico della Torà ci dà una visione ulteriore, una visione di un mondo unico, un mondo che contiene solo kedushà-santità, spiegandoci che perfino in un luogo del genere esiste la possibilità di peccare, ossia il non seguire la volontà di D-o.
Le fonti mistiche spiegano che gli esploratori e gran parte del popolo volevano rimanere nel “mondo del pensiero” o nel “mondo della parola”.
Che cosa vuol dire questo?
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