“D-o disse: Vi sia Luce!”
La luce è priva di valore in sé; la sua utilità dipende, infatti, dall’esistenza delle cose che essa illumina o che ne traggono beneficio. Per quale motivo, quindi, essa fu creata quando ancora non esisteva null’altro?
Il Midràsh (Bereshìt Rabbà, inizio) paragona l’opera della creazione al lavoro di un architetto umano. Come un re che desidera costruire un palazzo consulta il progetto dell’architeto, così D-o guardò la Torà e creò il mondo.
Quando l’uomo vuole costruire qualche cosa, il primo passo è il riflettere su che cosa sarà lo scopo della costruzione. Solamente dopo di ciò, il lavoro può avere inizio.
“Vi sia luce” fu la prima frase della creazione perché infatti è la luce che si trova al centro della creazione, come scopo di esso.
È tramite lo studio della Torà e l’osservanza delle mitzvòt che la “luce Divina” si rivela.
La luce, quindi, è lo scopo dell’esistenza in intero, dal punto di vista universale.
Ogni individuo rappresenta un microcosmo dell’universo, quindi la luce è anche lo scopo di ogni singolo ebreo, che dovrebbe trasformare la propria situazione in una di luce e di bontà al posto dell’oscurità.
Questa tesi, secondo la quale la luce è lo scopo della creazione e di tutte le creature, ci insegna che la luce è anche lo scopo dell’oscurità stessa, poiché anch’essa fa parte della creazione del mondo.
L’oscurità non esiste solamente per essere conquistata o evitata, quindi presentando l’uomo con una scelta tra il bene e il male (il libero arbitrio).
Il male arriva al suo scopo quando viene cambiato, quando il male si trasforma in bene. L’oscurità trasformata in luce.
Le difficoltà che ci vengono incontro nel corso della vita potrebbero farci rinunciare a poter mai vincere questa battaglia e sicuramente a trasformare il male in bene.
Ma con le parole “vi sia luce” la Torà introduce lo scopo di ognuno di noi come individuo e dell’umanità come collettiva. Se questo è lo scopo che D-o ha progettato, non c’è dubbio che si può avere successo, fino alla realizzazione della profezia di Isaia (60, 19): Il sole non sarà più la tua luce di giorno né per la luminosità la luna ti darà luce: sarà invece D-o per te una luce eterna.
Adattato da “Studi sulla Torà”
Esci dall’Arca!
31 ottobre, 2008Nella Parashà di questa settimana la Torà ci racconta la famosa storia del diluvio dal quale si sono salvati Noè e la sua famiglia.
Dopo il comandamento Divino di entrare nell’arca e l’anno che passò finché fu di nuovo possibile vivere sulla terraferma, D-o si rivolge di nuovo a Noè dicendogli di uscire dall’arca con tutta la sua famiglia e tutti gli animali sopravissuti al diluvio. (Bereshìt 8, 16-17).
A che cosa serviva un comandamento speciale per uscire dall’arca?
In efetti, per Noè era molto più facile rimanere nell’arca e vivere nella maniera alla quale ormai, dopo un anno, si era abituato. Poiché chi si trovava nell’arca non necessitava di nulla, l’arca era ben fornita.
Non solo la loro salute materiale e l’alimentazione erano garantiti, ma anche dal punto di vista spirituale si stava meglio; non c’erano le distrazioni e gli ostacoli che la gente deve sempre affrontare, consentendo agli abitanti dell’arca di poter servire D-o su un livello più elevato.
È proprio per questo che D-o interviene e dice “esci dall’arca”. Il ritorno al mondo della realtà può sembrare una discesa verso un livello inferiore dove purtroppo bisogna avere a che fare con dei problemi che non contribuiscono al benessere spirituale della persona.
Tuttavia, ogni cosa ha il suo momento. Dopo il diluvio era importante lasciare l’arca ed affrontare i problemi reali del mondo, quindi illuminando anche gli aspetti più oscuri della realtà con la quale si viene in contatto.Questo è possibile, chiaramente, solo uscendo dall’arca.
Questo messaggio ci raggiunge in un momento nel quale potremmo considerarci simili a Noè.
Il mese delle festività appena passato, quello di Tishrì, potrebbe essere considerata “un’arca” per l’ebreo.
Dalla solennità di Rosh Hashanà e Yom Kippùr alla gioia di Succòt e Simchàt Torà egli vive un mese diverso, elevato e distinto da tutti gli altri.
Adesso, entrando nel mese di Cheshvàn (che non ha alcuna una festività) il compito è diverso ma può essere ancora più importante: non solo di godere della luce che già c’è – come durante le feste – ma di trasformare l’oscurità stessa in luce.
Tratto da un discorso del Rebbe di Lubavitch, זי“ע
1 cheshvàn 5749 – 12 ottobre 1988
Tag:arca, chabad, commento, noach, parashà, torah, torà
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