Intervista con caporabbino dell’Inghilterra
Archive for gennaio 2009
Documentario CNN su Chabad Mumbai
29 gennaio, 2009Il Grande Perché
16 gennaio, 2009Questo Shabbàt si legge la prima Parashà del secondo libro della Torà – Shemòt. La terribile schiavitù in Egitto, la nascità di Moshè e la sua comparsa sulla scena come messaggero del Sign-re e guida del popolo ebraico, sono i temi centrali della Parashà.
Proprio riguardo il coinvolgimento di Moshè la Torà racconta che nonostante la richiesta diretta a lui dal Sign-re, egli si rifiutò inizialmente di svolgere il compito.
Il suo rifiuto si basava anche su questa “scusa”: Moshè disse a D-o: “Ecco che [quando] andrò dai figli di Israèle e dirò loro: ‘Il D-o dei vostri padri mi ha mandato da voi’ e mi diranno: ‘Qual è il suo nome?’, cosa dirò loro?” (Shemòt 3, 14).
Cerchiamo di capire il senso di questa frase pronunciata da Moshè. Il popolo ebraico sicuramente sapeva il “nome” di D-o, in quanto D-o dei loro avi Avrahàm, Yitzcha e Ya’akov. Forse avrebbero voluto sapere esattamente come si chiama? Ma a che cosa sarebbe servita quell’informazione?
I commentatori (Rambàn, Sforno, Gur Arié, ed altri, in loco) spiegano infatti che la domanda non è da capire letteralmente.
I figli di Israele sapevano che D-o viene chiamato con nomi diversi a secondo del suo comportamento (per esempio, il Tetragramma indica un comportamento di misericordia, Elo-him invece indica un comportamento di rigorosità e giudizio, ecc.).
La loro domanda quindi era “come si esprime” ossia con quale nome divino e quindi con quale metodo verrà messa in atto la redenzione.
A questa interpretazione si aggiunge un’approfondimento del Rebbe di Lubavitch זי“ע (Likutè Sichòt v. 26 pp. 19-25) secondo il quale si può spiegare la riluttanza di Moshè ad accettare la “proposta di lavoro”.
La domanda degli Ebrei non riguardava solo la redenzione ma anche l’esilio, la schiavitù e la sofferenza: Con quale “nome” si sta comportando il Sign-re durante anni di sofferenza e di fiumi di sangue di migliaia di bambini ebrei?
Questo comportamento come si chiama, che spiegazione può esistere per tutto ciò? In altre parole: Perché?!
Neanche Moshè si sentiva all’altezza di poter rispondere ad una domanda del genere.
Preghiamo che Esso si manifesti attraverso il nome Sha-ddày, che significa anche “che Lui dica basta” – alle sofferenze!
Amen!
rav Shalom Hazan
Dal Nilo al Hudson…
23 gennaio, 2009Il racconto dell’esodo degli ebrei dall’Egitto sembra essere accompagnato da un fiume. Moshè incontra il faraone quanto costui si reca al fiume la mattina, alcune piaghe colpiscono il fiume o derivano da esso, e così via.
In realtà gran parte della cultura egiziana dell’epoca era centrata sul fiume.
Questo per il semplice fatto che il sostentamento – l’acqua e l’irrigazione – veniva dal fiume. Con il tempo il fiume stesso diventò oggetto di culto ed era proprio il contrastare questi’dea che fu uno degli obbiettivi delle piaghe; quello di fare capire al faraone e agli egiziani che vi è solo un D-o.
Il faraone, da parte sua, voleva invece che i bimbi ebrei venissero gettati nel fiume. A parte la brutalità di questo atto vi è anche un male più subdolo: “Fate vivere le femmine” disse il faraone alle levatrici ebree, una frase che sembra benevola ma nasconde un intento non meno pericoloso della prima parte, e cioè che lo stesso fiume – culturale – che uccide i maschi fà vivere le femmine. Ossia voleva che venissero educate con la cultura e il culto del fiume e che non siano più in grado di mantenere un’identità distinta, quella loro.
Ebbene, come non pensare al miracoloso atterraggio sul fiume Hudson nel cuore di New York?
Come disse il Ba’al Shem Tov, ogni cosa che una persona vede o sente può essere usufruita per trarrne una lezione nel proprio servizio divino.
Atterrare su un fiume sembrava impossibile ma la cosa si è verificata.
Pensiamo a tutte le cose che consideriamo “impossibili” e vediamo se possiamo noi fare qualche miracolo…
Shabbàt Shalom!
Rav Shalom Hazan
Tag:ba'al shem tov, commento, faraone, hudson, moshe, nilo, parashà, va'erà
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