Archive for giugno 2009

La Scomparsa di Un Giusto

24 giugno, 2009

ב”ה

Cari amici,

La data ebraica di stasera e domani è il tre di Tammuz. Secondo le nostre fonti è questa la sera durante la quale il leader Yehoshu’a (Giosuè) miracolosamente fermò il sole durante i combattimenti per la conquista della terra d’Israel.

Per molte persone, il sole si tornò a fermare in questo stesso giorno, quindici anni fà, quando l’anima del grande Rebbe, Rav Menachem Mendel Schneerson זצוקלל”ה נבג”מ זי”ע, tornò al proprio Creatore.

Il Rebbe

Il Rebbe

Uso la metafora del sole perché il Rebbe era una fonte di luce che illuminava continuamente. Illuminava con la luce della Torà, le sue esposizioni finora stampate in più di duecento volumi. Illuminava con la sua saggezza pratica, consigliando leader politici di tutti gli schieramenti, capi di stato, scienziati e medici. Più che altro penso che illuminava con la sua anima e la sua autenticità, un’illuminazione apprezzata da bambini piccoli e i più grandi scolari nella stessa maniera.

Come vuole la tradizione, durante questa giornata molte migliaia di persone si avvieranno verso il quartiere Queens di New York per visitare la sua tomba e per chiedere alla sua anima di intercedere per noi nel Cielo.

Altri vi manderanno i propri nomi e le proprie richieste per essere letti lì durante questo giorno propizio per la Berachà.

Propizio per la Berachà, la benedizone, perché secondo gli insegnamenti dei Maestri il giorno della scomparsa di un giusto, di uno Tzadìk, è un giorno nel quale anche, e sopratutto, nel Cielo vengono ricordate ed esaltate tutte le sue opere della durata della sua vita. Per un Tzadìk queste opere non sono per un fine personale ma solamente per il bene degli altri e per adempire la volontà Divina. Questo vuol dire che vi è un livello di purezza, di innocenza e di autenticità che è difficile trovare in persone comuni.

Vi invito a riflettere questo giorno su una cosa nella vostra vita che possa essere migliorata — nei rapporti con gli altri oppure nei rapporti con D-o stesso — e ad trovare una maniera appunto per migliorarla, nel senso pratico della parola e non solo con la sola volontà.

Cito un piccolo commento del Rebbe in un suo discorso pubblico, che ho citato l’altra sera alla serata di beneficenza: La parola “vita” in ebraico è Chaim che in realtà è plurale, come se si dicesse “vite” e non vita. Questo, ha detto il Rebbe, è perché la vita è tale solamente quanto è vissuta insieme e condivisa. Nella mancanza di questo, è come se mancasse la vita stessa.

Aggiungo a questo un’altro insegnamento che ho tratto non da un discorso specifico ma da tanti insegnamenti e dall’esempio stesso del Rebbe: Se vuoi ammonire qualcuno, fallo a te stesso. Tieni il sorriso per un’altra persona. Sii forte, ma con te stesso, e sii dolce con gli altri. Questo li avvicinerà ancora di più alle vie della Torà.

La sua opera, i suoi insegnamenti ed il suo esempio continuano ad illuminare.

Vi auguro un Shabbàt pieno di luce e una settimana colma di successo, materiale e spirituale.

Shabbàt Shalom,
Rav Shalom Hazan

Appuntamento al Tempio
Orari delle Tefillòt per Shabbàt, 26-27 giugno:

Questa sera, mercoledì 24 giugno alle 20,45, storie e lezioni di vita dal Rebbe di Lubavitch.

26 giugno venerdì sera: 20,00
27 giugno shabbàt mattina: 9,30
27 giugno shabbàt sera: 19,30 minchà, pasto festivo e ‘arvìt

Il Kiddush è offerto dalla famiglia Moscati in onore del compleanno della figlia. Hazzak e Mazal Tov!

La Seu’dà Shelishìt all’uscita dello Shabbat è offerta dalla famiglia Calò per festeggiare le nozze della figlia Valentina con Alberto Zarfati. Hazzak e Mazal Tov!

Per offrire i prossimi Kiddush contatta Rav Shalom. Grazie!

Il lunedì 29 giugno alle ore 20, lezione di Tanya e Talmud per uomini.

La lezione del mercoledì 1° luglio è rimandata.

3 di Tammuz

Per mandare una lettera con richiesta di Berachà che sarà letta presso la tomba del Rebbe, clicca qui.

Informazioni sul Rebbe

La Fatica delle Nostre Mani

La gente pensa che siccome D-o non è materiale, sicuramente si trova nel Cielo. Ma i cieli – e tutto ciò che è spirituale – sono creati da D-o, come la terra. Meno dissonante, più armonioso, più lucido – ciò nonostante si tratta sempre di sfere limitate.

D-o non si fa trovare data la capacità del luogo, ma per il Suo desiderio di trovarsi in quel posto. Il Suo desiderio è di farsi trovare nella fatica delle nostre mani per riparare il Suo mondo.

Nei Cieli c’è la luce di D-o. Nella fatica delle nostre mani si esprime Egli stesso, la fonte della luce.

— Il Rebbe di Lubavitch (adattato da rav Tzvi Freeman)

L’Iniziativa dell’Uomo

19 giugno, 2009

L’Iniziativa dell’Uomo

La parashà di questa settimana trasmette un messaggio fondamentale: il nostro popolo (come ogni singolo essere umano) è stato mandato su questa terra con una missione.

Il Rambàm (Maimonide) scrive quello che è un principio fondamentale su cui si basano tutti i precetti della Torà: “Ognuno può diventare un giusto come Moshé o peccatore come Yerovam. Non esistono decreti che obbligano l’individuo ad intraprendere una di queste vie ma è lui stesso, con la sua propria iniziativa, a potersi dirigere verso il cammino prescelto”. La scelta è quindi nelle mani dell’uomo, senza nessun decreto prestabilito dal Sign-re. L’uomo è stato dotato da D-o del libero arbitrio.
La scelta
L’uso del libero arbitrio è il perno del nostro servizio verso D-o. Ogni essere umano nasce con la spontanea propensione a servire D-o e quando un Suo ordine è esplicito, non c’è esitazione. Quando però la volontà di D-o non è espressa in maniera chiara ed esplicita, l’uomo sente la necessità di raffinarsi e di elevarsi al fine di soddisfare le aspettative del Creatore. Il risultato ottenuto ha un maggiore impatto su se stesso in quanto egli deve ricorrere alle proprie forze interiori per fare anche ciò che non gli viene direttamente ordinato. Il cammino che porta ad avvicinarsi a D-o è difficile, ma il lavoro interiore che lo accompagna porta l’uomo a migliorarsi in proporzione forse ancora maggiore rispetto allo sforzo.
Una nuova fase
Questo approccio fa parte della dimensione verso la quale ci conduce la parashà di Shelàch, che comincia con le parole: “Shelàch lechà – Manda per te “. Rashi spiega che il popolo chiese a Moshé di mandare degli esploratori nella terra d’Israele. Moshé presentò la richiesta ad Hashèm che gli rispose: “Dipende da te. Non ti do nessun ordine. Se vuoi, mandali”. Da questo momento comincia una nuova fase nella relazione del popolo ebraico con D-o. Fino a questo punto, la Torà trasmette i comandamenti che Hashem ha dettato a Moshé. In questa Parashà, invece, D-o affida la decisione a Moshé. Questa nuova fase è legata all’obiettivo della missione degli esploratori: il popolo ebraico stava per entrare in Terra d’Israele per stabilirvisi definitivamente. Lo scopo di risiedere in Israele è quello di costruirvi una dimora per D-o, e questa si può edificare solo con l’iniziativa dell’uomo. L’uomo infatti trasforma la propria volontà e, con questa metamorfosi interiore che influisce sull’ambiente circostante, la dimora di Hashèm si materializza ed entra a far parte dell’essenza dell’uomo.
Rimediare all’Errore
Quando si parla di volontà e di iniziativa umana, è inevitabile pensare al rischio di commettere errori. Il resoconto degli esploratori, infatti, suscitò timori e reticenze da parte degli israeliti riguardo allo stabilirsi in Terra d’Israele. Tuttavia, come sottolineato nella parashà stessa, l’errore può essere riparato con la Teshuvà (ritorno sincero a D-o). Ancora una volta si evidenzia il volere umano, poiché attraverso la Teshuvà, l’uomo penetra nel proprio cuore e richiama la forza che gli consente di riconnettersi ad Hashèm.
La missione del nostro popolo Quanto sopra è implicitamente inteso nel nome stesso della parashà. Shelàch significa “Manda!”, indicando che ogni individuo, e in senso più ampio il popolo ebraico quale entità unica, viene inviato su questa terra investito di una precisa missione. Ciò viene ad indicare la missione specifica assegnata al popolo ebraico: essa consiste nell’elevare il mondo materiale e renderlo una dimora per il Sig-re.
“Manda” da continente a continente: per millenni il nostro popolo si è adoperato per compiere il Suo volere, avvolgendo l’esistenza materiale in un involucro spirituale, grazie all’osservanza della Torà e delle Mitzvòt. Questo obiettivo è tutt’altro che uno scopo astratto: siamo alle soglie della Redenzione e meriteremo presto la concretizzazione di quanto promesso nella Torà: “Li riporterò e conosceranno la terra”.

Tratto, con permesso, da “Pensieri di Torà”

Si Può Avere Tutto?

12 giugno, 2009

La tristezza del sommo sacerdote

Essendo ogni dettaglio nella Torà molto esatto, anche la prossimità di due brani può fare da spunto per approfondimenti e lezioni.

Il primo comando nella Parashà odierna è quella ad Aharòn di accendere la menorà. Il commentatore Rashì cita il Midrash che spiega la connessione tra questa mitzvà e l’ultima parte della Parashà precedente che ci raccontava dei doni offerti dai capitribù per l’inaugurazione del Mishkàn.

“Perché la parashà della menorà è accostata a quella dei capitribù? Poichè quando Aharon vide l’inaugurazione dei capitribù gli si “indebolì la mente” [ossia si sentì giù. NDR], non avendoci partecipato con loro nell’inaugurazione, né lui né la sua tribù. Gli disse HaKadosh Baruch Hù: ‘Giuro che a te spetta un servizio più importante del loro, perché tu accendi e prepari le candele’.”

Aharon, quindi, era triste perchè non ha avuto il merito di prendere parte nelle offerte inaugurative con tutti i capitribù, e la “parashà della menorà” è quindi una risposta e una consolazione per lui.

Ma perché Aharon fu così dispiaciuto? È chiaro che lui e la sua tribù sono stati resi distinti da tutto il popolo proprio per essere completamente dedicati al servizio del Mishkàn. Colui che si occupava del servizio del mishkàn, anche per le offerte degli stessi capitribù, era nientemeno che Aharon stesso!

Possiamo capirlo precisando le parole di Rashì. “Gli si indebolì la mente” – perché non dire semplicemente che soffrì o che rimase triste? Cosa vuol dire “gli si indebolì la mente”?

La mente di Aharon era completamente dedicata a quello che era la sua “opera di vita”, al servizio di HaKadosh Baruch Hù nel Suo Tempio. Egli voleva partecipare alle offerte dell’inaugurazione perché non poteva assistere a una cosa fatta nella casa di D-o senza prenderne parte. Quando vide questo, tutta la sua mente si indebolì…

Ciò può servire come lezione anche per noi: Quando vediamo una nuova iniziativa ebraica, specie di natura educativa, ci dovrebbe turbare il “perché non sono coinvolto anch’io”.

Per noi però basta coinvolgerci!

di rav Shalom Hazan
Basato sulle opere del Rebbe di Lubavitch זי”ע

Le Notizie Della Settimana

12 giugno, 2009

Cari amici,

Una volta per mantenere calde le piatenza dello Shabbàt, li si portava dal fornaio che li metteva nel forno ancora rimasto caldo da una settimana di lavoro.

Un venerdì prima dello Shabbàt un ragazzino di Gerusalemme prese la pentola, che la madre aveva chiuso e coperto bene, per portarla dal fornaio. Strada facendo un signore ingolosito lo fermò e gli chiese “ma cosa c’è di buono in quella pentola, bimbo?”

“Se mia mamma avesse voluto farlo sapere, rispose, non l’avrebbe coperto!”

Delle volte queste parole sono vere anche per ciò che D-o decide di tenere celato da noi…vedi il video!

Shabbàt Shalom,
Rav Shalom Hazan



L’Esistenza E’ L’Importanza

5 giugno, 2009

Come si fa a sapere se una cosa è importante? Dal fatto stesso che esiste!

La parashà di questa settimana ci dà un resoconto delle offerte che ogni capotribù portò al Tabernacolo nel deserto, in onore della sua inaugurazione.

Prima di descrivere nei dettagli l’offerta di ogni capotribù la Torà ci racconta di un’offerta collettiva fatta da tutti e dodici i capi: il dono di sei carrozze per trasportare il Tabernacolo smontato durante i viaggi del popolo d’Israele.

La cosa strana è questa: il popolo fu così generoso nelle sue offerte prima della costruzione del Mishkàn tanto da donare più materiale del necessario (Shemòt 36, 7). Com’è possibile allora che proprio i capi delle tribù hanno dato solamente la metà di una carrozza a testa?

Inoltre, il midràsh (Bamidbàr Rabbà 12, 16) racconta che gli stessi capitribù si astennero dall’offrire materiale per la costruzione del Mishkàn, aspettando le donazioni del popolo per fornire tutto quello che sarebbe mancato.

Di fatto, però, il popolo ha donato materiale a sufficienza per il Mishkan, non mancava nulla. È proprio per questo che qui all’inaugurazione, i capitribù hanno deciso di non aspettare e fare subito le loro offerte. È strano quindi che tale offerta includa solo sei carri da parte di dodici leader.

Nel Talmùd (Shabbàt 99b) si calcola il peso e la quantità degli oggetti che ogni carrozza doveva trasportare. Tra gli oggetti trasportati c’erano le travi (usate come muro del Mishkàn), le quali si appoggiavano sulla carrozza l’una sopra l’altra. Quando il popolo viaggiava, un addetto della tribù di Levi camminava tra le carrozze e stava attento a rimettere a posto le travi che scivolavano e si spostavano rischiando di cadere.

Non sembra il modo ideale di trasportare il posto dove D-o si rivelava…
Non potevano donare almeno un carro a testa e semplificare le cose?

La risposta è semplice: Il Mishkàn come dimora temporanea di D-o era un posto nel quale non c’era nulla di eccessivo. Il minimo dettaglio nel Mishkàn aveva uno scopo ed un compito preciso. La parola e il concetto “in più” non esisteva.

Lo stesso vale per le offerte delle carrozze, considerate anche esse come un’offerta alla stregua di un sacrificio (Bamidbàr Rabbà 12, 18) che quindi corrispondevano esattamente alle esigenze, sei e non dodici perché non servivano dodici. Ogni centimetro di spazio era da utilizzare al massimo.

Come in tutta la Torà anche qui c’è una lezione per noi. D-o non crea niente senza scopo o senza motivo, spesso sta a noi assicurare che lo scopo si realizzi, usando nel modo giusto tutto quello che D-o ci ha dato: tutte le nostre capacità, il nostro potenziale, il nostro tempo ecc. Se è rimasto un momento libero nel giorno è un’altra opportunità per riempirlo di bontà.

di rav Shalom Hazan
Basato sulle opere del Rebbe di Lubavitch זי”ע

Novità della Settimana

5 giugno, 2009

Cari amici,

La festa di Shavu’òt al Tempio dei Colli Portuensi è stata trascorsa in gran stile! Il successo più grande è stato quello riscosso dal programma per i bambini, espertamente guidato da Chani e Karen (e un po’ di aiuto da parte del gelato squisito…)

Il momento emozionante è stato quando tutti i bambini si sono riuniti dinanzi alla Tevà prima della lettura dei 10 comandamenti ed hanno sentito che sono proprio loro – i bambini – a garantire l’esistenza e la continuità della Torà. Dopo, sotto il talled davanti all’Hekhal sono venuti anche i neonati per la Berachà dei bambini.

Il kiddùsh gourmet preparato da Chani è stato molto apprezzato da persone di tutte le età…

Grazie a tutti coloro che hanno partecipato con la loro presenza e speriamo di rivedervi tutti molto presto!

Shabbàt Shalom,
Rav Shalom Hazan

Appuntamento al Tempio
Orari delle Tefillòt per Shabbàt, 5-6 giugno:

venerdì sera: 20,00
shabbàt mattina: 9,30
shabbàt sera: 20,15

Il Kiddush è offerto dalla famiglia Veneziani. Hazzak!

Per offrire i prossimi Kiddush contatta Rav Shalom, grazie!

Foto della Settimana

5 giugno, 2009
La Mezuzà più grande del mondo

La Mezuzà più grande del mondo

Questa mezuzà, commissionata da un imprenditore israeliano per la porta principale di un nuovo edificio, entrerà nel Guinnes dei primati sotto la voce “la mezuzà più grande”. Con le sue dimensione di più di un metro di altezza prende il posto sul Guinnes di un’altra Mezuzà, che era alta “solo” una novantina di centimetri…
Foto Credit: Col