Archive for luglio 2009

Lo Shemà

31 luglio, 2009
Cari amici,

Questa Shabbàt tradizionalmente è chiamato “Shabbàt Nachamù”. La parola Nachamù significa “siate consolati”, parola pronunciata e ripetuta dal profeta Isaia nel contesto della distruzione del 1° Tempio. Un messaggio di speranza e di redenzione che per tradizione si legge lo Shabbàt che segue il digiuno di Tishà beAv.

Vi auguro un buon weekend, buone vacanze e Shabbàt Shalom!

Rav Shalom Hazan

Lo Shemà
“Shemà Yisrael Ado-nai Eloh-énu Ado-nai Echàd.”

Questo versetto, conosciuto da ogni ebreo, ha come fonte la Parashà odierna, nella quale Moshè continua ad istruire e preparare il popolo d’Iisraele, ricordando loro anche gli eventi che li hanno portati a quel punto alla fine dei quarant’anni nel deserto trovandosi sulla soglia della Terra Santa.

Sono molti i commenti su questo versetto e la sua importanza. Cerchiamo di soddisfarci con alcuni di essi.

1) “Shemà Yisrael” significa “ascolta Israele”. Moshè parla al popolo dicendo loro di prestare attenzione alle parole importanti che sta per trasmetterli.

Vi è però un’allusione anche ad un’esperienza personale: Quando ogni ebreo, due volte al giorno, dice lo Shemà, in effetti è come se parlasse a se stesso, poiché il popolo si chiama Yisrael. Ognuno di noi dice quindi a se stesso, “Ascolta! D-o è nostro ed è unico”…

2) I caratteri scritti sul Séfer, il rotolo della Torà, hanno tre misure. La misura standard, le lettere di dimensione minore (come la Alef della prima parola del libro di Vayikrà-Levitico) e lettere di dimensione maggiore. Due di quest’ultime si trovano nel nostre versetto dello Shemà. La lettera ‘Ayin, l’ultima della parola Shemà, e la lettera Dalet, l’ultima della parola Echàd hanno dimensioni maggiori rispetto alle altre lettere.

Uno degli insegnamenti in riguardo: Messe insieme queste due lettere formano la parola ‘Ed, che significa “testimone”.

Il significato è doppio. Da una lato, leggere lo Shemà è una forma di testimonianza circa la presenza e l’unicità di D-o. Dall’altro canto, l’ebreo stesso, la sua esistenza, è un miracolo che testimonia la grandezza di D-o.

Il profeta Isaia, infatti, profetizza dicendo “Voi siete i Miei testimoni…” (Isaia 43, 10). Quando ci si chiede “qual’è la prova della Sua esistenza?”, basta guardare il Suo popolo, che nonostante la storia abbia cercato di annientarlo, rimane ancora in esistenza.

3) Le stesse due lettere, invertendo l’ordine, formano la parola Dà – “sappi”. Questo potrebbe alludere alla mitzvà di conoscere il Creatore (Devarìm 4, 39, vedi anche Cronache I 28, 9).

Il senso è che a parte l’obbligo di credere in D-o, ossia il concetto della fede, nell’ebraismo siamo anche portati a studiarlo, dalle fonti giuste, e quindi di “conoscerlo” per quanto questo sia possibile.

La differenza tra la sola fede e quella accompagnata dallo studio approfondito si esprime anche nel nostro comportamento.

Non esiste in realtà il non credente, ma la fede spesso rimane “in sospeso” in un vuoto tra l’anima e la persona, non sempre, quindi, si esprime nelle azioni.

Solo quando è accompagnata dallo studio e la conoscenza, la fede fiorisce e produce buoni frutti.

di Rav Shalom Hazan

La Memoria

24 luglio, 2009

Cari amici,

Questa Shabbàt tradizionalmente è chiamato “Shabbàt Chazòn”, che è la prima parola della famosa visione che il profeta Isaia ebbe sulla futura redenzione. In questa edizione troverete un articolo di rav Yossy Goldman di Johannesburg in riguardo.

Vi auguro un buon weekend, buone vacanze e Shabbàt Shalom!

Rav Shalom Hazan

La Memoria
Devarìm, la Parashà di questa settimana, è legata a Tish’a beAv, il giorno di lutto nazionale per il popolo ebraico. Questo Shabbat si legge la famosa “visione di Isaia”, la profezia riguardo la futura redenzione. Dopo Shabbàt ricorderemo la distruzione del Tempio quasi 2000 anni fa.Ma perché ricordare? Il mondo non può capire perché continuiamo a parlare della Shoà – che accadde solamente sessant’anni fa! Per più di diciannove secoli, ricordiamo e osserviamo questo evento che diventò il giorno più triste del nostro calendario. Perché? Ciò che è accaduto è accaduto… Perché tornare a delle visioni antiche e dolorose?

Si racconta che una volta Napoleone passò attraverso il quartiere ebraico di Parigi e sentì voci di pianti e lamentele che emanavano dalla sinagoga. Si fermò e chiese di che cosa si trattava e gli fu riferito che gli ebrei lamentavano la distruzione del loro Tempio.

“Quando è accaduto?” chiese l’imperatore. “Circa 1700 anni fa”, fu la risposta. A questo punto Napoleone disse che un popolo che non si scorda del suo passato è destinato a sempre avere un futuro.

Gli ebrei non hanno una storia, ma una memoria. La storia può diventare un libro, un museo o dei relitti archeologici. La memoria vive e garantisce il futuro.

Anche tra le rovine del primo Tempio, ci siamo rifiutati di dimenticare, ed è proprio per questo che siamo tornati. Proprio per questo rifiuto siamo riusciti a costruire comunità nel mondo intero, mentre quelli che ci hanno conquistato sono stati conquistati dal tempo.

Oggi non esistono babilonesi, e i romani che si trovano a Roma non sono quelli che hanno distrutto il nostro Tempio. Quelle nazioni diventarono parte della storia mentre noi, ispirati dalla memoria, continuiamo a dire – e vivere – “‘am Israel chai”, il popolo d’Israele vive.

Adattato e tradotto da un articolo di Rav Yossy Goldman pubblicato su Chabad.org

Appuntamento al Tempio
Orari delle Tefillòt per Shabbàt, 26-27 luglio:26 luglio venerdì sera: 20,00

27 luglio shabbàt mattina: 9,30

27 luglio shabbàt sera: 20,10

Il Kiddush è offerto dalla famiglia Piazza, Hazzak!

Per offrire i prossimi Kiddush contatta Rav Shalom. Grazie!

Dopo questo Shabbàt il tempio prenderà una pausa per riprendere dopo le vacanze. Vi terremo aggiornati!

Il Digiuno del 9 di Av

(Ciò che segue è un brevissimo riassunto. L’osservanza corretta del giorno di Tishà beAv include molti dettagli. In caso di dubbio si suggerisce di contattare il proprio rabbino, dato che la Halachà può cambiare a secondo della situazione).

La sera di mercoledì 29 luglio avrà inizio il digiuno di “Tishà BeAv” alle 20,33 (orario per Roma).

L’ultimo pasto prima dell’inizio del digiuno si chiama “se’udà hamafseket”. Si usa mangiare solamente una pietanza, secondo alcune tradizioni solamente un uovo sodo intinto nella cenere.

Fino alla conclusione del digiuno ci si astiene dal mangiare, dal bere, dal lavarsi, dall’ungersi, dall’indossare scarpe di pelle e da rapporti sessuali e comportamenti di intimità. Fino a mezzo giorno dell’indomani ci si siede solo su sedie o divani bassi (come nel periodo di lutto). Lo studio della Torà è limitato solamente a concetti legati al lutto, alla distruzione del Tempio, e simile.

Dopo ‘Arvìt nei templi si legge la meghillà di Eichà (il libro della Lamentazioni).

L’indomani mattina, durante la Tefillà non si mettono i Tefillìn che si metteranno solamente nel pomeriggio a Minchà. Durante la Tefillà della mattina si legge il Sefer nel libro di Devarìm (4,25-40) in un brano che parla della distruzione di Israele. La Haftarà dei profeti è del libro di Geremia. A Minchà si legge il Sefer nel libro di Shemot in un brano che tratta del perdono ottenuto da Moshe per il popolo di Israel dopo l’episodio del vitello d’oro. La haftarà è dal libro di Isaia.

Il digiuno si conclude alle 21,03 (Roma).

Perché non mangiamo il maiale – Le Monete Brillavano

17 luglio, 2009

Cari amici,

Questa settimana vi offro, oltre alle altre informazioni, un’altra breve corrispondenza che risponde ad una domanda ricevuta dopo l’invio dell’edizione della scorsa settimana sul tatuarsi secondo l’ebraismo (se non l’hai letto puoi ancora vederlo qui). Spero vi interessi!

Vi auguro un buon weekend, buone vacanze e Shabbàt Shalom!

Rav Shalom Hazan

Perché non mangiamo il maiale?
Buongiorno Rav Hazan,

mi potrebbe dire anche in breve per non recarle troppo disturbo come mai non si può mangiare il maiale..?

grazie
Shabbat Shalom   .
Elisheva

—-
Cara Elisheva,

Per cercare di essere il più chiaro possibile, faccio alcune premesse prima di arrivare alla risposta.

La Torà è un documento divino che nella Sua infinita bontà ci ha donato anche per insegnarci a gestire la nostra vita nella maniera ottimale. Il termine Torà è legato alla parola “hora’à” ossia “istruzione” e in effetti la Torà è un manuale d’istruzioni.

Tra le varie istruzioni che D-o ci trasmette nella Torà vi sono alcune semplici che avremmo potuto anche indovinare da soli (p.e. non uccidere, non rubbare, ecc.) ma che facendo parte della Torà diventano anche una sorta di canale, di legame, che ci lega al Sign-re, poiché li osserviamo in quanto Sue istruzioni e non solamente come frutto di una logica umana limitata e mortale.

Poi vi sono le mitzvòt simboliche, quelle che esistono per commemorare eventi speciali e meravigliosi, come per esempio il Seder che festeggia e commemora l’esodo dall’Egitto.

La terza ed ultima categoria di istruzioni è quella che include tutte le mitzvòt per le quali non possiamo dare alcuna spiegazione logica secondo la mente umana e li conosciamo solamente come istruzioni divine per le quali ignoriamo le motivazioni.

Un esempio classico sono tutte le leggi legate alla “purezza e impurità” di oggetti, animali o esseri umani, leggi alle quali la Torà dedica molto spazio. A differenza del pensiero comune, queste leggi non hanno nulla a che vedere con sporcizia fisica, igiene o pulizia della persona. Sono dei concetti spirituali per i quali non conosciamo bene la dinamica e il motivo.

Per tornare al concetto in questione, quello appunto della Casherùt, forse non molti sanno che anche queste leggi relative all’alimentazione rientrano in questa terza categoria. D-o non ci ha mai rivelato il motivo per queste leggi e quindi non ne abbiamo un’idea chiara.

Certo, è una grande mitzvà approfondire la consocenza della Torà e delle Mitzvòt, e quindi molti maestri e commentatori cercano di spiegare in vari modi anche il concetto della Casherùt. Questo ci aiuta a spiegare meglio a noi stessi perché la dovremmo osservare, ma comunque la Casherùt nella sua essenza rimane uno dei misteri divini della Torà.

Tra le altre spiegazioni, i Saggi parlano della Casherùt come una difesa contro l’assimilazione. E’ ovvio che chi osserva questa Mitzvà è limitato anche nel socializzare in determinati luoghi, ecc., aiutandolo a rimanere in un ambiente frequentato dai proprio correligionari.

Un’altra spiegazione è più spirituale. I Maestri dicono che l’osservare la Casherùt aiuta l’anima a rimanere sensibile a questioni ebraiche e ad avere più diffcoltà ad ignorarle. Questo è ovviamente un concetto spirituale il quale è difficile sentire fisiologicamente ma secondo i Maestri è un dato di fatto (anche perché “siamo quello che mangiamo…”)

E il povero maiale? In realtà il maiale non è “meno casher” di altri cibi che non sono casher. Secondo la Torà, mangiare altri cibi che non sono Casher è grave quanto mangiare il maiale. E allora perché si parla così male proprio del maiale?

Ovviamente non è nulla di “personale” … ma esiste un Midràsh che forse ci può spiegare questo atteggiamento non tanto verso il maiale quanto verso ciò che rappresenta.

Come sappiamo, i segni degli animali Casher sono il ruminare e l’avere lo zoccolo spaccato. Il maiale è un animale che ha lo zoccollo spaccato ma non rumina. Come se mostrasse le zampe dicendo “guardatemi! sono Casher!”, anche se non lo è.

In realtà questa non è una lezione per il maiale innocente ma per noi uomini che dobbiamo imparare a non essere ipocriti, dimostrando i nostri pregi e nascondendo gli aspetti meno
gradevoli della nostra natura.

Shabbat Shalom!
rav Shalom

Le Monete Brillavano

La parashà di Mass’é menziona in modo speciale le figlie di Zelofhàd (Bemidbàr 36), che erano sagge e pie (cf Rachi a proposito di Bemidbàr 27, 4). La loro tradizione è stata perpetuata fedelmente e magnificamente dalle donne ebree di generazione in generazione e giunge a proposito riportare qui una storia chassidicha.

Reb Gavriel, un seguace dell’Alter Rebbe (Rabbì Shneur Zalman, autore del Tanya e Shulchan Aruch HaRav e fondatore del movimento Chabad) e sua moglie Chana Rivka erano sposati da venticinque anni, ma non avevano figli. Lui era stato un prospero mercante di Vitebsk, ma i tempi difficili e le persecuzioni avevano distrutto le sue sostanze.

L’Alter Rebbe si sforzava in quel tempo di ottenere la liberazione di alcuni prigionieri ebrei. C’era bisogno per questo di grandi somme di denaro, che il Rebbe cercava di raccogliere fra i suoi seguaci. Si riteneva che reb Gavriel fosse in grado di donare una certa somma, ma invece egli non aveva la possibilità di farlo ed era assai avvilito di non poter partecipare alla grande mitzvà del pidiòn Shevuyìm (il riscatto dei prigionieri) nella misura che ci si attendeva da lui.

Quando Chana Rivka venne a conoscenza di ciò che tanto addolorava il marito, ella vendette le sue perle e i suoi gioielli per raccogliere il denaro necessario. Poi strofinò e ripulì le monete fino a farle splendere e formulando la preghiera che pure per loro cominciasse a spendere una fausta sorte, fece un pacchetto e lo consegnò a reb Gavriel perché lo portasse al Rebbe.

Quando reb Gavriel giunse a Liozna dall’Alter Rebbe pose il pacchetto di fronte a lui sul tavolo. Il Rebbe gli chiese di aprirlo e ne uscirono le monete sfavillanti. L’Alter Rebbe rimase per qualche momento silenzioso, assorto nei suoi pensieri, poi disse: “Di tutto l’oro, l’argento e il rame che gli ebrei donarono per la costruzione del Mishkàn (il Santuario nel deserto) non vi era nulla che brillasse tanto: solo la conca di rame con il suo piedistallo”.

(Questi oggetti erano stati fatti con gli specchi di rame che le donne avevano donato al Mishkàn con grande generosità e con gioia. Cf Esodo 38, 8 e Rashi sullo stesso).

“Ditemi, continuò il Rebbe, da dove provengono queste monete?”

Gavriel raccontò al Rebbe come stavano le cose e come Chana Rivka avesse raccolto il denaro.

L’Aletr Rebbe, con il capo appoggiato sulla mano, rimase a lungo profondamente assorto. Poi alzò la testa e diede la sua benedizione a reb Gavriel e a sua moglie perché potessero avere figli e lunga vita, ricchezze e ogni altra specie di fortuna. Disse, poi, a reb Gavriel di liquidare la sua azienda a Vitebsk e di mettersi piuttosto a commerciare in diamanti e pietre preziose. Negli anni che seguirono la benedizione del Rebbe accompagnò sempre reb Gavriel che divenne ricco ed ebbe figli e figlie. Morì all’età di 110 anni e sua moglie gli sopravvisse di due anni.

Le monete di carità, di quella materiale come di quella spirituale, possono essere diverse per quanto riguarda valore e quantità, ma quando la mitzvà è fatta con il proprio sacrificio, e tuttavia con gioia, allora essa acquista un valore immensamente più grande e splende di una luce che illuminerà tutta la cita.

(Saggio basato su Liqquté Sichòt, vol IV, 1300; tradotto in Il Pensiero della Settimana a cura del rabbino Shmuel Rodal).

I Tatuaggi Sono Permessi?

10 luglio, 2009

Cari amici,

In questa edizione potete leggere anche una breve corrispondenza che ho avuto con un amico riguardo i tatuaggi nell’ebraismo, che ritengo importante pubblicare dato che ultimamente sembra che il tatuarsi è diventata una “moda” abbastanza diffusa.

Vi auguro un buon weekend, buone vacanze e Shabbàt Shalom!

Rav Shalom Hazan
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I Tatuaggi Nell’Ebraismo

Caro rav Shalom,

E’ vero che non è permesso tatuarsi secondo l’ebraismo? Ho sentito anche dire che chi ha un tatuaggio non potrà essere sepellito in un cimitero ebraico. E’ vero?

Attendo la tua risposta.
Angelo P.
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Caro Angelo,

Sì, è vero. La Torà proibisce esplicitamente i tatuaggi permanenti (nel libro di Vayikrà – Levitico 19,28). Questo vuol dire che in effetti è proibito tatuarsi nello stesso modo che è proibito consumare il prosciutto o mangiare durante il giorno di Kippur.

Cerchiamo di capire un po’ meglio questa proibizione. Nella Torà, questa proibizione fa parte di un contesto di altre proibizioni che riguardano l’allontanamento da comportamenti che sono legati al culto idolatro.

All’epoca (ed in alcune culture ancora oggi), persone dedicato al culto idolatro avevano comportamenti che definivano il loro legame al culto. Quindi, tra l’altro, si radevano la barba, facevano delle ferite sul proprio corpo e..si tatuavano. Il tatuaggio è un segno di appartenenza a un determinato “dio”, simile ad un “marchio” che un padrone imprimeva sulle proprie bestie ed adirittura anche sui propri schiavi.

La Torà comunque lo proibisce categoricamente a prescindere di quale sia l’intenzione della persona che si vuole tatuare.

Vi è anche un’altra considerazione in questa mitzvà ed è quella della “proprietà del proprio corpo”.

Secondo la Torà, il nostro corpo non è un tanto un dono quanto un pegno. Ossia, in realtà non appartiene a noi ed è quindi proibito danneggiarlo o mutilarlo … né usarlo come tela per motivi artistici o sentimentali.

Per quanto riguarda la seconda domanda in realtà anche un ebreo che si è fatto tatuare ha il pieno diritto, secondo la Halachà, di essere sepolto in un cimitero ebraico (anche se è possibile che diverse comunità impostano delle regole per i loro cimiteri e potrebbero quindi impedirlo, non su base halachica ma di uso del posto).

Comunque se stai pensando di tatuarti ti consiglio di vederlo dal punto di vista della vita anziché quella della morte…non pensare alla sepoltura ma all’importanza che l’ebraismo dà al corpo umano e al rispetto che gli è dovuto.

Spero di vederti presto!
rav Shalom
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Appuntamento al Tempio
Orari delle Tefillòt per Shabbàt, 3-4 luglio:

3 luglio venerdì sera: 20,00
4 luglio shabbàt mattina: 9,30
4 luglio shabbàt sera: 20,20

Il Kiddush è offerto dalla famiglia Di Consiglio, Hazzak!

Per offrire i prossimi Kiddush contatta Rav Shalom. Grazie!

La lezione del lunedì è rimandata

Lezione di Parashà e Pensiero ebraico mercoledì alle 20,45
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calamita

calamita

Possibilità di Dedica o Pubblicità
Per la seconda volta, stiamo per stampare una calamita con gli orari di entrata e uscita di Shabbàt e le feste per l’intero anno nuovo da rosh Hashanà 5770 (2009-2010).
L’anno scorso ne abbiamo stampate 500 e sono esaurite subito. Abbiamo deciso quindi di stamparne 1000 pezzi quest’anno.
Questa è un’opportunità per potere dedicare l’iniziativa alla memoria di un tuo caro oppure per pubblicizare la tua attività nelle case della gente per un anno intero.
500 pezzi sono già stati dedicati. Il costo di ogni 100 pezzi è di 110 Euro.
Qui sopra vedi un’immagine della calamità dell’anno scorso (dimensioni: 10x18cm). La parte in basso è quella dedicata alla dedica o alla pubblicità.
Lo vuoi fare? Fammi sapere subito!
ravhazan@gmail.com
Hazzak e grazie!
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Le Tre Settimane
Ieri, giovedì 9 luglio corrispondeva al 17 di Tamùz, un giorno di digiuno che segna l’inizio del periodo di lutto spesso detto “le tre settimane” che termina con un’altro digiuno, quello di Tish’à beAv.

Il 17 Tamùz fu il giorno che l’assedio a Gerusalemme da parte dei legionari romani ebbe successo e il muro della città cadde, dando inizio a una battaglia che culminò con la distruzione del Tempio nel nono giorno del mese di Av, Tish’à beAv.

Il periodo di lutto non é solamente una maniera per ricordare la tragica distruzione, ma anche un momento per migliorare i nostri aspetti spirituali e materiali affrettando così la redenzione finale, la ‘cura’ della distruzione.

Un maestro Chassidico raccontò la seguente storia: Un re andò a caccia con il suo miglior amico. Il clima era perfetto, non c’era una nuvola nel cielo. Ad un tratto però il tempo cambiò e nuvole tempestuose coprirono il cielo, scurendo la foresta. I lampi e i tuoni non tardarono ad arrivare e in pochi minuti il re e l’amico cercavano disperatamente un riparo dalle acque torrenziali.

Stavano per rinunciare quando videro una piccola luce in lontananza. Si avvicinarono a ciò che risultò essere una baracca
malandata e bussarono alla porta che venne aperta da un uomo
anziano, visibilmente molto povero. “Cosa volete?” li chiese.
“Solo un rifugio dalla tempesta,” risposero gli ospiti inaspettati.
Il pover’uomo poté offrirli solo un po’ di latte di capra e un po’
di paglia per appogiare la testa, piccoli segni di ospitalità che
furono molto apprezzati date le circostanze. La mattina dopo il
sole splendeva di nuovo e avendo ringraziato calorosamente il
povero vecchio, i due tornarono al palazzo.

Qualche giorno dopo il pover’uomo si sorprese vedendo
arrivare la carrozza reale che si fermò davanti alla baracca. “Che
cosa posso aver mai fatto?…” pensò.

Il re, vedendo che il vecchio non lo riconosceva, gli disse che si
erano già visti e che era venuto a dargli una ricompensa per la
sua gentile ospitalità. L’uomo diventò un aristocratico ricco con
vestiti costosi e una casa grande non lontano dal palazzo reale.

Un amico del vecchietto lo vide e, stupito gli chiese: “Come hai
fatto a cambiare la tua vita in questo modo?!” “Ho offerto latte
di capra e un po’ di paglia al re,” gli rispose.

Disse il maestro agli allievi: Immaginate se l’amico decidesse di
andare al palazzo reale con un bicchiere di latte e un sacchetto
di paglia, verrebbe anche egli ricompensato così? Certamente
no.

Quando il re è esiliato si accontenta anche di quel poco che
un pover’uomo può offrire. Ma quando si trova nel suo palazzo,
non gli basta neanche tutto l’oro e argento che ha.

Adesso, durante l’esilio nel quale ci troviamo da più di duemila anni, il “Re” si accontenta del poco che facciamo per Lui, considerando le circostanze. Ma dopo la futura redenzione non potrà certo bastare solo questo. Approfittiamone adesso che ancora possiamo!

בה
Cari amici,

In questa edizione potete leggere anche una breve corrispondenza che ho avuto con un amico riguardo i tatuaggi nell’ebraismo, che ritengo importante pubblicare dato che ultimamente sembra che il tatuarsi è diventata una “moda” abbastanza diffusa.

Vi auguro un buon weekend, buone vacanze e Shabbàt Shalom!

Rav Shalom Hazan

I Tatuaggi Nell’Ebraismo


Caro rav Shalom,
E’ vero che non è permesso tatuarsi secondo l’ebraismo? Ho sentito anche dire che chi ha un tatuaggio non potrà essere sepellito in un cimitero ebraico. E’ vero?
Attendo la tua risposta.
Angelo P.
—-
Caro Angelo,

Sì, è vero. La Torà proibisce esplicitamente i tatuaggi permanenti (nel libro di Vayikrà – Levitico 19,28). Questo vuol dire che in effetti è proibito tatuarsi nello stesso modo che è proibito consumare il prosciutto o mangiare durante il giorno di Kippur.

Cerchiamo di capire un po’ meglio questa proibizione. Nella Torà, questa proibizione fa parte di un contesto di altre proibizioni che riguardano l’allontanamento da comportamenti che sono legati al culto idolatro.

All’epoca (ed in alcune culture ancora oggi), persone dedicato al culto idolatro avevano comportamenti che definivano il loro legame al culto. Quindi, tra l’altro, si radevano la barba, facevano delle ferite sul proprio corpo e..si tatuavano. Il tatuaggio è un segno di appartenenza a un determinato “dio”, simile ad un “marchio” che un padrone imprimeva sulle proprie bestie ed adirittura anche sui propri schiavi.

La Torà comunque lo proibisce categoricamente a prescindere di quale sia l’intenzione della persona che si vuole tatuare.

Vi è anche un’altra considerazione in questa mitzvà ed è quella della “proprietà del proprio corpo”.

Secondo la Torà, il nostro corpo non è un tanto un dono quanto un pegno. Ossia, in realtà non appartiene a noi ed è quindi proibito danneggiarlo o mutilarlo … né usarlo come tela per motivi artistici o sentimentali.

Per quanto riguarda la seconda domanda in realtà anche un ebreo che si è fatto tatuare ha il pieno diritto, secondo la Halachà, di essere sepolto in un cimitero ebraico (anche se è possibile che diverse comunità impostano delle regole per i loro cimiteri e potrebbero quindi impedirlo, non su base halachica ma di uso del posto).

Comunque se stai pensando di tatuarti ti consiglio di vederlo dal punto di vista della vita anziché quella della morte…non pensare alla sepoltura ma all’importanza che l’ebraismo dà al corpo umano e al rispetto che gli è dovuto.

Spero di vederti presto!
rav Shalom

Appuntamento al Tempio

Orari delle Tefillòt per Shabbàt, 3-4 luglio:

3 luglio venerdì sera: 20,00
4 luglio shabbàt mattina: 9,30
4 luglio shabbàt sera: 20,20

Il Kiddush è offerto dalla famiglia Di Consiglio, Hazzak!

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Lezione di Parashà e Pensiero ebraico mercoledì alle 20,45

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L’anno scorso ne abbiamo stampate 500 e sono esaurite subito. Abbiamo deciso quindi di stamparne 1000 pezzi quest’anno.
Questa è un’opportunità per potere dedicare l’iniziativa alla memoria di un tuo caro oppure per pubblicizare la tua attività nelle case della gente per un anno intero.
500 pezzi sono già stati dedicati. Il costo di ogni 100 pezzi è di 110 Euro.
Qui sopra vedi un’immagine della calamità dell’anno scorso (dimensioni: 10x18cm). La parte in basso è quella dedicata alla dedica o alla pubblicità.

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ravhazan@gmail.com
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Le Tre Settimane

Ieri, giovedì 9 luglio corrispondeva al 17 di Tamùz, un giorno di digiuno che segna l’inizio del periodo di lutto spesso detto “le tre settimane” che termina con un’altro digiuno, quello di Tish’à beAv.

Il 17 Tamùz fu il giorno che l’assedio a Gerusalemme da parte dei legionari romani ebbe successo e il muro della città cadde, dando inizio a una battaglia che culminò con la distruzione del Tempio nel nono giorno del mese di Av, Tish’à beAv.

Il periodo di lutto non é solamente una maniera per ricordare la tragica distruzione, ma anche un momento per migliorare i nostri aspetti spirituali e materiali affrettando così la redenzione finale, la ‘cura’ della distruzione.

Un maestro Chassidico raccontò la seguente storia: Un re andò a caccia con il suo miglior amico. Il clima era perfetto, non c’era una nuvola nel cielo. Ad un tratto però il tempo cambiò e nuvole tempestuose coprirono il cielo, scurendo la foresta. I lampi e i tuoni non tardarono ad arrivare e in pochi minuti il re e l’amico cercavano disperatamente un riparo dalle acque torrenziali.

Stavano per rinunciare quando videro una piccola luce in lontananza. Si avvicinarono a ciò che risultò essere una baracca
malandata e bussarono alla porta che venne aperta da un uomo
anziano, visibilmente molto povero. “Cosa volete?” li chiese.
“Solo un rifugio dalla tempesta,” risposero gli ospiti inaspettati.
Il pover’uomo poté offrirli solo un po’ di latte di capra e un po’
di paglia per appogiare la testa, piccoli segni di ospitalità che
furono molto apprezzati date le circostanze. La mattina dopo il
sole splendeva di nuovo e avendo ringraziato calorosamente il
povero vecchio, i due tornarono al palazzo.

Qualche giorno dopo il pover’uomo si sorprese vedendo
arrivare la carrozza reale che si fermò davanti alla baracca. “Che
cosa posso aver mai fatto?…” pensò.

Il re, vedendo che il vecchio non lo riconosceva, gli disse che si
erano già visti e che era venuto a dargli una ricompensa per la
sua gentile ospitalità. L’uomo diventò un aristocratico ricco con
vestiti costosi e una casa grande non lontano dal palazzo reale.

Un amico del vecchietto lo vide e, stupito gli chiese: “Come hai
fatto a cambiare la tua vita in questo modo?!” “Ho offerto latte
di capra e un po’ di paglia al re,” gli rispose.

Disse il maestro agli allievi: Immaginate se l’amico decidesse di
andare al palazzo reale con un bicchiere di latte e un sacchetto
di paglia, verrebbe anche egli ricompensato così? Certamente
no.

Quando il re è esiliato si accontenta anche di quel poco che
un pover’uomo può offrire. Ma quando si trova nel suo palazzo,
non gli basta neanche tutto l’oro e argento che ha.

Adesso, durante l’esilio nel quale ci troviamo da più di duemila anni, il “Re” si accontenta del poco che facciamo per Lui, considerando le circostanze. Ma dopo la futura redenzione non potrà certo bastare solo questo. Approfittiamone adesso che ancora possiamo!

Shabbat Shalom!

3 luglio, 2009

Appuntamento al Tempio
Orari delle Tefillòt per Shabbàt, 3-4 luglio:

3 luglio venerdì sera: 20,00
4 luglio shabbàt mattina: 9,30
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Il Kiddush è offerto dalla famiglia Di Segni, Hazzak!

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Lezione di Parashà e Pensiero ebraico mercoledì alle 20,45

La Vacca Rossa

Il Signore parlò a Moshè e Aharòn dicendo:  «Questo è lo statuto della legge che il Signore ha comandato. Dì ai figli di Israele che ti prendano una vacca rossa perfetta, che non abbia alcun difetto e sulla quale non sia stato messo giogo. Ciò sia per i vostri figli da osservare per fare dell’acqua purificatrice, è un Chattàt (espiazione)».

Un idolatra domandò a rabbi Jochannàn ben Zakkay:  «Quello che voi fate con la vacca sembrano stregonerie! Voi prendete una vacca, la bruciate, la sminuzzate, prendete la sua cenere e quando uno di voi si rende impuro a causa di un morto gli spruzzate due o tre gocce e gli dite: sei puro!».

Gli domandò a sua volta rabbi Jochannàn:  «Non ti è mai capitato che uno spirito maligno si sia impossessato di te?».
Gli rispose: «No».

Gli chiese ancora rabbi Jochannàn:  «Hai mai visto una persona posseduta da uno spirito maligno?».

Gli rispose: «Si».

Gli domandò ancora: «Voi cosa gli fate?».

Gli rispose: «Si prendono delle radici, le si bruciano, si spruzza contro lo spirito un po’ d’acqua ed esso fugge».

Gli disse rabbi Jochannàn: «Che le tue orecchie sentano ciò che la tua bocca ha pronunciato!».

Così questo spirito (della persona impura) è impuro come è scritto:  “eliminerò dalla terra i falsi profeti e ogni spirito impuro” (Zaccaria 13, 2); si spruzza quindi un po’ d’acqua pura ed esso fugge.

Quando l’idolatra uscì gli allievi dissero a rabbi Jochannàn: «Maestro, lui lo hai liquidato facilmente, ma a noi cosa rispondi?».

Rispose loro: «Non è un morto che rende impuri e non sono le acque che purificano, ma D-o: Una legge ho stabilito, un decreto ho decretato e tu non hai la facoltà di trasgredire il mio decreto!» (Bemidbàr Rabbà , 8).

Il problema della comprensione delle mitzvòt si presenta in modo particolare quando si affronta il tema della vacca rossa. Si sa che, tra le suddivisioni possibili, vi sono due tipi di mitzvòt:

Mishpatìm: norme comprensibili e razionali, per esempio non rubare e non uccidere.

Chuqqìm: leggi la cui comprensione sfugge al razionale, come le norme alimentari e la vacca rossa.

Quest’ultima, in particolare, si trova all’apice della difficoltà, tanto che i Maestri dissero che anche a Salomone, che comprese tutti i precetti, la questione della vacca rossa rimase oscura.
Il midràsh va letto tenendo conto dell’epoca in cui si colloca.

Ai tempi di rabbi Jochannàn era diffusa anche tra le persone colte la superstizione dell’esistenza dello spirito maligno, si può pertanto capire come la prescrizione della vacca rossa non fosse considerata una stregoneria, ma una pratica religiosa consueta.

La risposta, però, non accontenta gli allievi che non accettano semplicemente il riferimento agli spiriti maligni.

Allora viene la seconda risposta: ciò che importa è il comandamento, la regola vale perché è stata comandata.

I precetti in genere sono stati dati per il bene dell’uomo e hanno la capacità di conservare e di prevenire l’uomo dagli errori.

Si chiedono infatti i Maestri: perché si chiamano Chuqqìm, cioè Statuti? Perché sono incisi nell’uomo contro l’istinto del male e lo sostengono nella lotta contro il proprio istinto; l’uomo, quindi, osservandoli si purifica.

I precetti mettono l’uomo sempre alla prova e lo aiutano a compiere una continua verifica delle azioni che fa. Per questo l’ebreo deve tenere continuamente presente il sistema legislativo della Torà , perché fino a che è dentro tale sistema egli si eleva sempre di più giorno dopo giorno.

Per questo chi si rende impuro ha bisogno di un atto, sia pure formale, per rientrare dentro il sistema e tale atto assume importanza appunto perché dettato da D-o.

Se l’uomo trasgredisce la Legge si allontana automaticamente da D-o e dalla Torà, quindi per tornare, per espiare, non ha altro modo che quello di accettare e applicare un decreto Divino.

Tratto da Cyberdrasha.it