Cari amici,
La nostra settimana è iniziata la sera del venerdì passato segnata da un incontro bellissimo, durante la tradizionale cena dello Shabbàt, tra una ventina di giovani studenti americani e romani. Ragazzi e ragazze dal New Jersey e Maryland che possono trovare punti di incontro comuni sullo Shabbàt, su Israele e sull’ebraismo in generale. Ognuno dei presenti ha tenuto un brevissimo intervento per raccontare un pensiero di Torà, una mitzvà svolta o un’esperienza ebraica interessante.
“Vorrei andare in Olanda a trovare la famiglia che ospitò mio nonno quando era bambino. Tutta la sua famiglia fu sterminata dai nazisti, ma lui si salvò grazie a questa famiglia”, disse uno dei ragazzi presenti.
Una delle ragazze raccontò: Durante la shoà un gruppo di ebrei riuscì a scappare da un villaggio verso le foreste. Nel gruppo vi era una madre con una bimba neonata, che aveva difficoltà a rimanere in silenzio. Questo avrebbe potuto essere un gravissimo problema per tutto il gruppo. Una delle guide disse alla madre che avrebbe avuto la scelta di uccidere la bambina per salvare tutti, o di separarsi dal gruppo. Un altro leader si contrappose e prese la bimba a sé, tenendola calma in qualche maniera per la durata della fuga.
Il gruppo riuscì a salvarsi e la neonata oggigiorno abita negli Stati Uniti e racconta la storia nelle scuole.
“E’ stato incredibile quando un giorno la signora venne alla nostra scuola – ci racconta la ragazza americana la scorsa settimana – e raccontò la sua storia. Uno dei miei compagni di classe già conosceva la storia perché era il nipote del leader che salvò la neonata!”
Colgo l’occasione per ringraziare Alberto Ouazana di Kosher Delight per l’aiuto generoso per i pasti pubblici da noi organizzati e per i pranzi del Gan, hazzak!
La lezione del lunedì ci ha dato la possibilità di affrontare il significato profondo della Teshuvà, il ritorno. Sapevi che la Teshuvà è richiesta anche dallo Tzadìk, il giusto? Non perché abbia peccato ma perché il ritorno – significato letterale della parola Teshuvà – si intende anche come un’avvicinamento sempre maggiore verso la Fonte di tutto.
Grazie all’impegno di Fabrizio S. e Stella Z. abbiamo organizzato una bella serata il martedì sera con giovani coppie della zona. Abbiamo parlato proprio del rapporto di coppia visto dal punto di vista ebraico. Sono stati affrontati anche temi delicati ma il tutto in uno spirito di arrichimento reciproco che ha lasciato tutti i partecipanti molto contenti tanto da chiedere l’organizzazione di una prossima serata che se D. vuole annunceremo prossimamente.
Vi auguriamo un sereno e piacevole Shabbat,
Shabbat Shalom
Rav Shalom e Chani
Alimentazione Metafisica
18 febbraio, 2011Alimentazione Metafisica
Un assaggio del ragionamento di Yeshivà
La Torà ci racconta che Mosè salì sul monte Sinai e rimase lì per quaranta giorni e quaranta notti e non bevve né mangiò nulla durante quel periodo. Com’è possibile una cosa del genere?
Secondo la legge ebraica, la Halachà, è impossibile sopravvivere per più di sette giorni senza né mangiare né bere. Se una persona giura di non mangiare per sette giorni, questo giuramento è considerato falso!
Vi sono tre spiegazioni sul fenomeno della sopravvivenza di Mosè sul monte:
1) Pur trovandosi in un ambiente celeste il corpo di Mosè rimase umano, esigendo cibo, liquido e sonno. Fu il Sign-re che fece sì che Mosè rimanesse vivo “in maniera miracolosa” anche essendo privata dall’alimentazione fisica.
2) L’accaduto non era un miracolo ma piuttosto un fenomeno naturale di estrema rarità. Mosè era talmente contento da una parte ed impegnato mentalmente dall’altra nel ricevere la Torà che questa grande felicità e l’impegno forte fecero sì che nonostante il corpo fosse stanco e richiedesse le esigenze ad esso necessarie, Mosè non lo sentì.
3) Quando Mosè salì sul Sinai la natura del suo corpo cambiò e diventò come quello degli angeli. Così come gli angeli non necessitano di cibo e liquidi anche Mosè “in quei giorni” non aveva esigenze terrene. Secondo questa interpretazione Mosè non era stanco, affamato ed assetato perché si trovava in una realtà diversa.
Esiste una regola talmudica secondo la quale anche opinioni diverse od opposte potrebbero essere tutte valide. Si potrebbe spiegare che tutte le interpretazioni citate trovano riscontro nelle tre volte che Mosè salì sul monte.
La prima volta salì per ricevere le prime Tavole della Legge che erano “miracolose” poiché furono create ed incise dal Sign-re stesso. Anche il corpo di Mosè fu miracolosamente alimentato.
La seconda volta, quando Mosè salì per fare perdonare il peccato del vitello d’oro, fu talmente preso con le preghiere e le richieste che non sentì le “richieste” del proprio corpo.
La terza volta salì per ricevere le seconde Tavole. A questo punto aveva raggiunto un livello talmente elevato che il suo corpo era come quello di un angelo e non aveva bisogno di mangiare.
In effetti, solo dopo la terza volta che Mosè scese dal monte la Torà ci parla dei raggi di luce che emanavano dal suo volto. Era un’indicazione del livello elevato al quale era arrivato proprio quella volta, nella sua ultima salita al Monte Sinai.
Basato sulle opere del Rebbe di Lubavitch זצ”ל
Adattato da rav Shalom Hazan
Tag:mosè, moshe, parashà, rebbe di lubavitch, talmud, torah, vitello d'oro, yeshiva
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