Archive for giugno 2011

Serata d’Omaggio al Rebbe di Lubavitch

30 giugno, 2011

Il 4 luglio ricorre la data del 3 di Tammuz, anniversario della scomparsa del Rebbe di Lubavitch.

Dedichiamo la serata allo studio e l’ispirazione dalla sua vita ed i suoi insegnamenti con interventi interessanti nonché una presentazione audio-visiva che includerà dei video del Rebbe mentre accoglie persone da Roma ed una presentazione video sulla terra d’Israel nei discorsi del Rebbe e nei suoi incontri con esponenti del governo israeliano (Presidente Shazar, Primi Ministri Begin, Shamir, Rabin, Sharon, Netanyahu ed altri).

 

Il programma degli interventi:

Yitzchak Hazan – ricordi del Rebbe 

Ronnie Canarutto – studio di una mishnà 

Menachem Lazar – recitazione di un salmo 

Gavriel Levi riflessioni sul significato del giorno

Porterà il saluto di Roma Capitale
l’On. Federico Rocca

Presenterà la serata

Shalom Hazan

seguirà un rinfresco

 

lunedì 4 luglio 2011 alle h20,30

 Casa del Cinema (Villa Borghese)

org. da Chabad Lubavitch
con il patrocinio di Roma Capitale

posti limitati!

Sei Un Leader?

30 giugno, 2011

Sei un Leader?

La parashà di questa settimana contiene uno dei misteri più profondi della Torà: le leggi della “mucca rossa”. Questo è il rituale attraverso il quale chi fosse diventato ritualmente impuro venendo in contatto con la morte, avrebbe potuto purificarsi.

Sono talmente misteriose le norme di questa Mitzvà, che secondo i maestri del Talmud neanche il saggio re Salomone riuscì a comprenderle. Secondo la tradizione solamente Moshè ebbe questo merito, come dice il midrash “a te rivelo la ragione della vacca [rossa]” (Bamidbàr Rabbà 19, 6).

Forse l’aspetto più strano di questa mitzvà è il fatto che i Cohanim coinvolti nella preparazione delle acque che venivano spruzzate sulla persona impura per purificarla, diventavano a loro volta impuri. Ossia le stesse acque che rendevano l’uno puro rendevano l’altro impuro!

Cambiando il contesto, però, la cosa potrebbe diventare un po’ più chiara. Se i leader spirituali-religiosi sono come i Cohanim, essendo responsabili della purezza spirituale del popolo, questi non possono sempre rimanere intoccabili dalle impurità che toccano la gente comune.

Un leader spirituale è uno che è disposto ad abbassarsi, a scendere al livello degli altri per purificarli, anche se lui stesso sarà affetto dall’impurità degli altri.

Perché è così? Secondo il Midràsh, la mucca rossa ha anche un valore riguardo la responsabilità del popolo d’Israele per la colpa commessa: “venga la madre – la mucca – ed espii i peccati del figlio – il vitello d’oro”.

Nello stesso modo, i leader sono considerati responsabili del benessere spirituale del popolo.

Questa martedì, il 3° di Tamuz (quest’anno il 5 luglio) ricorre l’anniversario della scomparsa del Rebbe di Lubavitch. Dal punto di vista della responsabilità, lui era un leader dell’ebraismo mondiale. Si sentiva responsabile di ogni ebreo. Dall’ebreo di Sydney a quello di Rio de Janeiro, dall’ebreo di Parigi a quello diShanghai a quello di Haifa.

La prova della responsabilità non sono i sentimenti ma le azioni. Il Rebbe si sentì responsabile di ogni singolo ebreo e perciò creò una comunità non di seguaci ma di leader, che mandò come suoi emissari a combattere l’assimilazione attraverso i più di 3.500 centri Chabad-Lubavitch nel mondo, innovando il concetto del “Jewish outreach” oramai adottato, grazie a D-o, da tutte le grandi organizzazioni ebraiche.

Ma il messaggio del Rebbe è ancora più profondo. Per lui, ogni persona era un leader. Chi ha una famiglia, organizza un gruppo, fa qualcosa per la comunità o ha degli impiegati, è un leader ed dovrebbe considerarsi  responsabile della sua sfera d’influenza.

Penso che l’omaggio più adatto a questa grande figura sia non tanto il discorso e il racconto della sua vita ma la mitzvà fatta con un senso di responsabilità verso gli altri portando avanti l’opera della sua vita.

di rav Shalom Hazan

Ultima lezione – Tanya e Talmud

21 giugno, 2011

Nota Importante:  Nonostante la lezione segua il testo in lingua originale, non è necessaria la conoscenza della lingua per seguire la lezione. Tutto è tradotto e spiegato.

Testo del Tanya: Clicca per il testo (PDF)

Testo del Talmud: Clicca per la 1° parte Clicca per la 2° parte (PDF)

Archivio delle lezioni precedenti

Il Lampionaio

10 giugno, 2011

Il Lampionaio

 Nella prima parte della parashà di Beha’alothechà si descrive come Aharòn, il Kohèn Gadòl (il sommo sacerdote), accende quotidianamente il candelabro a sette braccia nel Mishkàn (il Tabernacolo, il Santuario nel deserto)

La filosofia chassidica paragona l’anima dell’uomo ad una fiamma, secondo il detto del re Salomone: “L’anima dell’uomo è la luce di D-o” (Proverbi 20, 27).

Come una fiamma si protende sempre verso l’alto, così l’anima dell’uomo cerca sempre di elevarsi verso la propria Fonte.

L’atto di Aharòn nell’accendere la Menorà è il simbolo della sua missione: quella di far sprigionare la luce dall’anima di tutti gli ebrei.

Ciascuno ha dentro di sé una fiamma, ma sovente essa è nascosta o sepolta all’interno dell’individuo. La missione di Aharòn era di scoprire e rivelare questa luce.

Chiesero una volta al rebbe Shalom DovBer di Lubavitch (1861-1920): “Che cosa è un chassìd?”

Egli rispose: “Un chassìd è un lampionaio”.

I lampioni erano lì, pronti, ma era necessario accenderli. Ci sono a volte lampioni ai quali non si può accedere altrettanto facilmente come a quelli che si trovano agli angoli delle strade. Si trovano in posti sperduti, o in mezzo al mare: anche queste luci devono essere accese. Non sono da dimenticare, perché possono rischiarare ad altri il cammino.

Nella Scrittura è detto anche: poiché un lume è la mitzvà e una luce la Torà (Proverbi 6, 23).

Un Chassìd è colui che, mette da parte i suoi affari personali e va in giro per accendere le anime degli ebrei con la luce delle mitzvòt e della Torà.

Le anime sono pronte per essere accese, talvolta se ne trova una all’angolo della via, talvolta in un deserto, talvolta in mezzo al mare.

Ci deve essere qualcuno che, incurante degli agi e degli interessi personali, si rechi lontano ad accendere quelle lampade. Questo è il compito del vero chassìd.

Il messaggio è chiaro ma è importante menzionare che tale compito costituisce il dovere di ogni singolo ebreo dovunque egli sia.

La Divina Provvidenza manda gli ebrei nei posti più impensati, affinché possano svolgere questa loro missione.

 Basato su Liqquté Sichòt, vol II, 361; e su un messaggio del Rebbe di Lubavitch; tradotto in Il Pensiero della Settimana a cura del rabbino Shmuel Rodal

In Vino Veritas

3 giugno, 2011

Una delle mitzvòt esposte nella Parashà di questa settimana è quella del nazireo, al quale viene proibito (per periodo di tempo pre-determinato) il consumo del vino e di tutti i derivati dell’uva.

Questa mitzvà ci spinge a riflettere sul posto del vino nell’ebraismo e nella vita quotidiana dell’ebreo.

Da una parte troviamo che molte mitzvòt vengono formalizzate con il vino. Si pensi inanzitutto al Kiddùsh, la santificazione del giorno espressa nella Torà come “ricorda il giorno dello Shabbàt per santificarlo”, che viene inteso dai Maestri non solo in quanto ricordo puramente mentale bensì anche concreto, con il Kiddùsh sul vino.

Lo stesso ricordo si ripete all’uscita dello Shabbàt con la Havdalà, la distinzione tra il sacro ed il profano, di nuovo su un calice di vino.

Questo vale anche per le festività, i mo’adìm, e specialmente per Pesach quando si bevono i famosi quattro bicchieri, preparandone uno pure per il profeta Elia…

Anche sotto la chuppà gli sposi bevono un sorso di vino, e così anche in altre occasioni.

Il calice di vino serve per rendere formale ed onorevole la situazione nella quale vogliamo lodare il Sig-re con dignità, come espresso anche dal re Davide: “Innalzo un calice di salvezze ed invoco il nome di D-o” (Salmi 116, 13).

Il vino è visto nell’ebraismo anche come elemento che porta la gioia. La Torà ci istruisce di gioire durante le festività e il Talmùd chiede “in che modo?” “Con il vino” è la risposta (Pesachìm 109a).

Dall’altro lato vi sono anche dei momenti nei quali viene proibito il consumo di alcolici: non si può pregare mentre si è sotto l’effetto di alcolici; un rav non può prendere una decisione halachica se non in uno stato di sobrietà e così via.

L’ebraismo non è accecato dagli effetti meno luminosi del vino, come nella storia di Noé e quella delle figlie di Lòt – il Talmùd dice addirittura che il vino è la fonte di tanti problemi (“porta il pianto al mondo”, Yomà 76b).

Questo ci porta al dunque: bere il vino è bene o male?

La risposta dovrebbe essere chiara: dipende dalla situazione. Se è venerdì sera e tutta la famiglia si ritrova intorno al tavolo in calma e serenità, diventa una mitzvà che ci aiuta ad elevarci al di là della mondanità.

Ma in un ambiente meno contenuto e privo di significato profondo – si può dire religioso? – può diventare troppo spesso un passo verso la degradazione della persona.

Dipende da noi il poter capire e decidere come usare il vino, così come tante altre cose esistenti al mondo; siamo noi a doverne farne un uso giusto, al momento giusto e al posto giusto, sempre per eseguire nel migliore dei modi la volontà di D-o.

Lechaim!

di rav Shalom Hazan
Chabad Lubavitch di Monteverde