Archive for ottobre 2011

Parole Galleggianti

28 ottobre, 2011

Quande le acque del diluvio divennero molte e riempirono la terra, alzarono la tevà, l’arca, che iniziò a galleggiare sulla superficie delle acque.

Che lezione attuale è nascosto in questo? Il Baal Shem Tov fa notare che la parola tevà (arca) vuol dire anche “parola” in ebraico.

Sono le parole delle nostre tefillòt e della Torà che studiamo, che sono inalzate aldisopra delle acque. Quali acque? Sono le molte acque dei pensieri, le distrazioni, le esperienze umane normali e banali che comunque fanno sì che l’aspetto spirituale del nostro essere, l’anima Divina, venga oscurato e nascosto. Potremmo quindi vedere in cattiva luce queste “acque”.

No, dice il Baal Shem Tov, proprio queste acque sono quelle che fanno salire in alto e illuminare le poche parole di Torà e Tefillà che riusciamo a pronunciare. Proprio perché vengono dette e fatte con sforzo e sacrificio, trascendono le acque, e fanno splendere la neshamà (l’anima).

Proprio come c’è scritto nella Parashà della settimana, sono le acque che fanno salire la tevà – le parole.

di Rav Shalom Hazan

La Mezuzà della Fede

28 ottobre, 2011

Novità – News


Ci scrive Rav Avraham Wolff, rabbino capo di Odessa che ha sposato mia cugina Chaya Greenberg. (Rav Wolff lavora nello stesso tempio dove mio bisnonno Rav Zusia Friedman fu il rabbino prima della guerra).

“Dopo vent’anni in Ucraina pensavo di aver già visto tutto. Questa vigilia di Kippur sono rimasto sorpreso dall’emozione che ho sentito per via della seguente storia. La mattina dellla vigilia di Kippur è venuta al tempio una signora anziana con in mano una mezuzà, dicendomi che la mezuzà era ormai troppo vecchia, le servirebbe una nuova. Senza pensarci troppo le diedi una mezuzà chidedendo ad uno dei rabbini presenti di andare a casa con la signora per aiutarla a fissare la nuova mezuzà. Misi la vecchia mezuzà nella tasca della giacca e la dimenticai lì, preso dai preparativi di Kippur.

“Poco prima della festa quando svuotai le tasche trovo la mezuzà e per curiosità decido di aprirla.

“All’interno vi era un pezzo di carta strappato da un quaderno, con all’interno lo Shemà scritto in corsivo con inchiostro blu.

“Era ovvio che chi l’ha scritta sapeva che non si poteva considerare una mezuzà valida (non essendo scritta su pergamena da un esperto sofer con l’inchiostro adatto ecc. e avendo anche molti errori – infatti sono inclusi anche i versi “Baruch Shem” e il brano di “Vayomer” che non fanno parte della mezuzà).

“Al tempo stesso la “mezuzà” era una prova dell’animo ebraico indistruttibile. Nei momenti più oscuri della persecuzione comunista un padre di famiglia non poteva dormire la notte senza una mezuzà. Forse non ha neanche raccontato ai suoi figli di averla nascosta in qualche maniera dietro la porta. Con questa ispirazione sono andato al tempio la sera di Kippur.”

Ecco la foto della mezuzà:

mezuza

L’Umile Salice

18 ottobre, 2011

Di tutte le quattro specie che siamo tenuti a “prendere” durante la festività di Succòt il salice è indubbiamente il pià umile. Tutte le altre specie vantano un’aroma e/o un sapore particolare mentre il salice almeno all’apparenza è carente di tutto ciò (in realtà varie specie di salice trovano uso, tra l’altro, in farmaci).

Proprio “l’umile salice” sarà considerato preferito per un’altra mitzvà, quella di circondare l’altare del Tempio (Bet Hamikdash) e successivamente alla distruzione la Tevà (leggio centrale) dei piccoli templi. Con il salice in mano si chiede il Sign-re “Hoshi’a na” ovvero “Salvaci perfavore”, e il giorno della maggiore “Hoshannà” detto Hoshannà Rabbà, vengono fatti sette giri con il salice.

Perché proprio il salice?

Molto probabilmente non abbiamo una risposta precisa essendo questa mitzvà, secondo quasi tutte le opinioni una “halachà leMoshè miSinai” ossia trasmessa da Moshè sul monte Sinai senza spiegazioni.

Esistono tuttavia molte spiegazioni e tanti commenti in riguardo.

In questo periodo, quello di Succòt, il mondo è giudicato riguardo l’acqua per l’anno nuovo. Per questo le nostre preghiere mettono a fuoco la richiesta per l’acqua anche con simboli che lo ricordano. Il salice che necessita di molta acqua e che spesso cresce in riva ai fiumi, è un simbolo degno per il concetto che vogliamo trasmettere. Ovviamente però non è l’unico e ne avremmo potuto trovare altri.

Secondo alcuni maestri è prorio l’aspetto dell’umiltà del Salice, oltre quello legato all’acqua, che vogliamo ricordare (si ricorda che secondo l’usanza si prende il salice e lo si batte per terra).

Succòt arriva in un momento in cui ci sentiamo spiritualmente elevati, dopo la preparazione del mese di Elul, lo Shofar di Rosh Hashanà e la Teshuvà di Kippur possiamo comunque intrattenere una sensazione di soddisfazione o sicurezza di sé.

Nell’usare il salice è come se dicessimo “non facciamo la nostra richiesta in base alla nostra grandezza o elevatezza spirituale, che seppur importante rimane sempre umanamente limitata. Lo facciamo, invece con alla base la semplicità e l’umiltà della fede”.

di Rav Shalom Hazan

Sei Già Tornato?

7 ottobre, 2011

Sei Già Tornato?

Il Maghìd Rabbì DovBer di Mezritch insegnò che la Teshuvà (il “ritorno” o pentimento) dovrebbe essere talmente profondo per far sì che il livello divino indicato dal nome “Havayah” (il tetragramma), una livello di divintà trascendente, diventi “Elokecha” ossia che possa illuminare la sfera personale e limitata dell’uomo (cosa che è indicato anche dal valore numerico del nome Elokìm che corrisponde alla parola “hateva” – la natura).

Tutti i discepoli del Maghìd furono profondamento toccati da questo insegnamento. Uno degli allievi, il Rebbe Zushe di Anipoli, disse che non avrebbe potuto arrivare a livelli talmente elevati della Teshuvà e che avrebbe quindi diviso la Teshuvà nelle sue vari componenti, indicati dalle lettere che formano la parola Teshuvà, ognuno dei quali indica un altro versetto:

T: Tamim – “Sii integro con il Sign-re tuo D-o.”

Sh: Shiviti – “Ho posto l’Eterno davanti a me, costantemente.”

U: Ve’ahavta – “Ama il tuo prossimo come te stesso.”

V: Bechol – “In tutte le vie, conosciLo.”

H: Hatzne’a – “Procedi umilmente con il tuo D-o.”

Quando il Rebbe Shalom DovBer di Lubavitch raccontò questo al suo figlio Rabbì Yossef Yitzhàk, concluse: La parola Teshuvà è composta da cinque lettere, ogni lettera corrisponde ad una via ed un metodo specifico di Teshuvà” (e spiegò ogni metodo in dettaglio).

T: Tamim…, “Sii sincero con D-o.” Questo rappresenta il servizio della Teshuvà fatto attraverso la sincerità. Sincerità, o integrità, può assumere molte forme e si trova su molti livelli. Il livello più elevato in relazione alla Teshuvà è “la completezza del cuore” che si chiama anche fedeltà o integrità come la Torà dice di Avraham “hai trovato che il suo cuore era fedele dinanzi a Te”.

Sh: Shiviti…, “Ho posto l’Eterno (Havayah) davanti a me, costantemente” Il nome Havayah indica la creazione dell’universo e le creature. L’atto continuo di creazione è effettuato dal costruire un ponte su uno spazio infinito dal “ayin” (non-esistenza) al ‘yesh’ (esistenza). Questa forma di Teshuvà risulta dall’essere costantemente consci della maniera in cui l’esistenza viene costantemente creata da D-o.

U: V’ahavta…, “Ama il tuo prossimo come te stesso”. Il Alter Rebbe (autore del Tanya e Shulchan Aruch HaRav) insegnò che l’amore è uno strumento, un mezzo, per poi amare “il Sign-re tuo D-o”. Come indicato anche dalla mishnà che dice chi è piacevole ai uomini è piacevole a D-o). Questo metodo di Teshuvà deriva dalla bontà e la benevolenza del cuore.

V: B’chol…, “In tutte le vie, conosciLo.” Una persona che decide di osservare tutto ciò che accade intorno a sé potrà percepire l’opera Divina in maniera evidente. Uomini d’affari hanno questo “vantaggio” rispetto agli studiosi, in quanto sono sempre testimoni della “mano di D-o”. Questa forma di Teshuvà deriva dalla percezione di “hashgachà peratìt” ossia della Providenza Divina specifica.

H: Hatznei’a…, “Procedi umilmente con il tuo D-o.” Non bisogna essere vistosi o ostentarsi minimamente. E’ detto “l’uomo deve sempre essere furbo nella devozione”. La furbizia sta nel assicurarsi che la propria devozione non sia notata da tutti. Sappiamo che i primi Hassidìm si nascondevano e quando veniva rivelato il loro alto livello di devozione ne rimanevano sinceramente angosciati. Questa forma di Teshuvà deriva dal “hatzne’a lechet” l’essere umili e riservati.

da Hayom Yom