L’ascensore Infinito

L’ascensore InfinitoLa Parashà di questa settimana continua a specificare nei minimi dettagli le leggi riguardanti le offerte di sacrifici nel Santuario. Il maestro Don Yitzchak Abarbanel (Lisbona 1437, Venezia 1508) ne approfondisce il significato generale che rimane eternamente rilevante.

Secondo il Talmud il beneficio spirituale che avveniva tramite il culto dei sacrifici si ottiene oggi attraverso il culto della Tefillà, la preghiera. Infatti, le cadenze temporali delle tefillòt seguono quelle dei sacrifici. Abarbanel cita il Kuzari (Rabbì Yehudà HaLevì – Spagna c. 1080, Israele 1171) il quale descrive l’effetto desiderato della preghiera attraverso una parabola.
Quando una persona si mette a tavola la sua intenzione non è quella di soddisfare meramente il suo fame immediato. La persona vorrebbe nutrirsi con il pasto per poter evitare la fame fino al prossimo pasto. La Tefillà dovrebbe avere una funzione simile.
Quando si prega l’intento non è quello di legarci al Sign-re solamente durante il momento della preghiera. Ci si vuole assicurare che anche dopo la conclusione della Tefillà si continua a sentire l’amore, la vicinanza e il collegamento con D-o.
Secondo l’Abarbanel questo è il senso più profondo del verso in cui è detto “Questa è la legge del olocausto [il sacrificio arso interamente sull’Altare, NDR], rimarrà sull’Altare tutta la notte sino al mattino”.
Il termine “olocausto” nell’ebraico originale è “Olà” ovvero “[il sacrifico che] Sale in Alto”. Questo termine descrive anche la nostra neshamà, l’anima che si trova al nostro interno e che è costantemente presa dal desiderio di “salire” aldisopra del mondano ed unirsi con la propria Fonte.
La sera, il mattino e il pomeriggio abbiamo l’opportunità di pregare. Ma lo scopo è di perpetuare quei momenti facendo sì che permeino il resto della giornata.
E’ per questo che il verso dice “…tutta la notte sino al mattino”. Purché la Tefillà serale porti al giusto risultato, il suo impatto deve essere sentito tutta la notte, sino al mattino.
di Rav Eli Rosenfeld (Lisbona)

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