Novità – News
Ci scrive Rav Avraham Wolff, rabbino capo di Odessa che ha sposato mia cugina Chaya Greenberg. (Rav Wolff lavora nello stesso tempio dove mio bisnonno Rav Zusia Friedman fu il rabbino prima della guerra).
“Dopo vent’anni in Ucraina pensavo di aver già visto tutto. Questa vigilia di Kippur sono rimasto sorpreso dall’emozione che ho sentito per via della seguente storia. La mattina dellla vigilia di Kippur è venuta al tempio una signora anziana con in mano una mezuzà, dicendomi che la mezuzà era ormai troppo vecchia, le servirebbe una nuova. Senza pensarci troppo le diedi una mezuzà chidedendo ad uno dei rabbini presenti di andare a casa con la signora per aiutarla a fissare la nuova mezuzà. Misi la vecchia mezuzà nella tasca della giacca e la dimenticai lì, preso dai preparativi di Kippur.
“Poco prima della festa quando svuotai le tasche trovo la mezuzà e per curiosità decido di aprirla.
“All’interno vi era un pezzo di carta strappato da un quaderno, con all’interno lo Shemà scritto in corsivo con inchiostro blu.
“Era ovvio che chi l’ha scritta sapeva che non si poteva considerare una mezuzà valida (non essendo scritta su pergamena da un esperto sofer con l’inchiostro adatto ecc. e avendo anche molti errori – infatti sono inclusi anche i versi “Baruch Shem” e il brano di “Vayomer” che non fanno parte della mezuzà).
“Al tempo stesso la “mezuzà” era una prova dell’animo ebraico indistruttibile. Nei momenti più oscuri della persecuzione comunista un padre di famiglia non poteva dormire la notte senza una mezuzà. Forse non ha neanche raccontato ai suoi figli di averla nascosta in qualche maniera dietro la porta. Con questa ispirazione sono andato al tempio la sera di Kippur.”
Ecco la foto della mezuzà:

L’Umile Salice
18 ottobre, 2011Di tutte le quattro specie che siamo tenuti a “prendere” durante la festività di Succòt il salice è indubbiamente il pià umile. Tutte le altre specie vantano un’aroma e/o un sapore particolare mentre il salice almeno all’apparenza è carente di tutto ciò (in realtà varie specie di salice trovano uso, tra l’altro, in farmaci).
Proprio “l’umile salice” sarà considerato preferito per un’altra mitzvà, quella di circondare l’altare del Tempio (Bet Hamikdash) e successivamente alla distruzione la Tevà (leggio centrale) dei piccoli templi. Con il salice in mano si chiede il Sign-re “Hoshi’a na” ovvero “Salvaci perfavore”, e il giorno della maggiore “Hoshannà” detto Hoshannà Rabbà, vengono fatti sette giri con il salice.
Perché proprio il salice?
Molto probabilmente non abbiamo una risposta precisa essendo questa mitzvà, secondo quasi tutte le opinioni una “halachà leMoshè miSinai” ossia trasmessa da Moshè sul monte Sinai senza spiegazioni.
Esistono tuttavia molte spiegazioni e tanti commenti in riguardo.
In questo periodo, quello di Succòt, il mondo è giudicato riguardo l’acqua per l’anno nuovo. Per questo le nostre preghiere mettono a fuoco la richiesta per l’acqua anche con simboli che lo ricordano. Il salice che necessita di molta acqua e che spesso cresce in riva ai fiumi, è un simbolo degno per il concetto che vogliamo trasmettere. Ovviamente però non è l’unico e ne avremmo potuto trovare altri.
Secondo alcuni maestri è prorio l’aspetto dell’umiltà del Salice, oltre quello legato all’acqua, che vogliamo ricordare (si ricorda che secondo l’usanza si prende il salice e lo si batte per terra).
Succòt arriva in un momento in cui ci sentiamo spiritualmente elevati, dopo la preparazione del mese di Elul, lo Shofar di Rosh Hashanà e la Teshuvà di Kippur possiamo comunque intrattenere una sensazione di soddisfazione o sicurezza di sé.
Nell’usare il salice è come se dicessimo “non facciamo la nostra richiesta in base alla nostra grandezza o elevatezza spirituale, che seppur importante rimane sempre umanamente limitata. Lo facciamo, invece con alla base la semplicità e l’umiltà della fede”.
di Rav Shalom Hazan
Tag: aravah, aravà, hoshanna rabba, salice, succot, sukah
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