Cosa potrebbre avere l’ebraismo contro Facebook? O Google Plus e altre social network? Come quasi tutto ciò che esiste, anche questi sono elementi neutri. Si possono usufruire per cambiare il mondo in bene o diventare uno strumento di distruzione (ricordate la pagina facebook che chiamava alla terza intifada?).
Non vi è, dunque, qualcosa nell’ebraismo che sia contro i social network, ammesso che non vengano utilizzati per fini poco rispettosi.
Approfondiamo un po’ l’aspetto psicologico dietro la creazione di questi luoghi virtuali per capire meglio la posizione ebraica in riguardo.
Le social network hanno il fine di aiutarci ad avere più contatti e legami sociali (e il facilitare questi legami). Cosa che fanno benissimo. Se una volta dovevamo chiamare o trovarci di persona per poter sapere come stanno gli amici, oggi facendo scorrere la schermata si può sapere chi va in vacanza, chi ha l’influenza, chi è nato e chi cerca lavoro. Sarebbe stato meglio comunque una telefonata o una visita personale? Certamente. Ma siamo troppo occupati per tenere conto dei dettagli di tutti i rapporti d’amicizia e la social network ci aiuta ad avere queste informazioni.
Dopo essersi collegati a Facebook (per esempio) si scopre una realtà molto triste. Scopriamo di avere bisogno della conferma degli altri. Iniziamo a misurarci secondo i ‘mi piace’ che riceviamo. Ne ho ricevuti venti? Sono proprio popolare… Nessun ‘mi piace’? Non ho proprio amici…
Questa dinamica ci porta a diventare molto superficiali nei rapporti, cercando sempre ciò che è popolare e gratificante nel momento, pur sapendo che dopo pochi secondi si perderà nelle miriadi di informazioni virtuali che lo seguono. Ma è come se fossimo dipendenti da ciò.
L’ebraismo ha un punto di vista molto diverso. Il primo ebreo, Avraham, si chiamava Ivrì anche perché si trovava dall’altra parte (dalla parola ‘ever, lato), schierato contro la mentalità del resto del mondo.
La mishnà dice: [Se una persona dice] ho faticato ma non sono riuscito, non credergli. Non ho faticato e sono riuscito, non credergli. Ho faticato e sono riuscito – credigli.
Se volessimo arrivare alla meta – quel che sia – non sarebbe possibile senza lo sforzo e la fatica. Forse chi ci è riuscito senza faticare ha goduto per un momento. Ma non credergli, non ci è realmente riuscito.
Cosa ne dite? Siete d’accordo che le social network ci fanno diventare più superficiali? Che converrebbe staccarsi un po’ dall’attività sociale virtuale e tornare a connettersi realmente con le persone? Se sì, clicca ‘mi piace’ 😉
da un articolo di Mendy Kaminker per he.chabad.org.
tradotto e adattato da Shalom Hazan
Il Viaggio Infinito
4 novembre, 2011Nella nostra Parashà D-o si rivela ad Abramo per la prima volta e gli ordina “Va’ via dalla tua terra, dal luogo in cui sei nato e della casa di tuo padre, alla terra che ti mostrerò” – (Bereshìt 12, 1).
Conoscendo il rapporto speciale che esisteva tra il nostro primo padre e il Sig-re, forse rimaniamo sorpresi quando leggiamo un po’ più avanti che “Avràm aveva settantacinque anni quando uscì da Charàn”.
Perché la Torà non ci racconta la storia di Abramo fino a questo punto?
La parola Torà deriva da “hora’à” che significa istruzione.
La Torà non è, quindi, un libro di storia (nonostante possa svolgere anche questo ruolo) ma un “manuale d’istruzioni” per il popolo ebraico.
È proprio per questa ragione che molti eventi storici non sono menzionati nella Torà che include solo quello che rimane – eternamente – istruttivo per noi.
Le tappe della vita di Abramo fino a questo punto, il suo cammino e le prove che ha superato, non fanno parte della realtà della vita per i suoi discendenti.
Mentre il comandamento (“Va’ via…”) nella nostra Parashà è qualcosa che non solo può trovare riscontro nella vita di ognuno ma infatti è un viaggio che ognuno intraprende forse senza neanche riconoscerlo.
Di che cosa si tratta?
All’anima che scende in questo mondo per dare vita a un corpo viene ditto “Va’ via…”, lascia il mondo elevato, spirituale, santo, e vai verso quel mondo inferiore.
Questa è una dura prova per l’anima e infatti la Mishnà dice che il uomo vive (ossia l’anima si trova nel corpo) contro la sua volontà (Avòt 4, 29).
Anche dopo questa discesa, quando ormai si tratta di un essere umano vivente, viene detto di nuovo “Va’ via”.
Va’ via dai tuoi abitudini negativi, da un’educazione scorretta e da un’atteggiamento non molto positivo, vai verso la Casa di Studio e impara a cambiare tutto ciò per il bene.
Ma anche a quel punto, il richiamo “Va’ via” c’è ancora. Perchè una cosa buona può sempre essere meglio ancora.
Come tutto nella Torà, anche questo richiamo è eterno, ovunque e ad ognuno.
Di Rav Shalom Hazan
Basato sulle opere del Rebbe di Lubavitch, זי”ע
Tag:abramo, avraham, lech lecha, parashà, rebbe di lubavitch
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