L’ennesimo appello per fare offerte questa settimana lo sentiremo al Tempio nella lettura della Torà…
Nel parallelo antico della libera offerta D-o chiede a chi fosse “generoso di cuore” di offrire il necessario per la costruzione del Tabernacolo (il Santuario temporaneo nel deserto, il Mishkàn) e tutto ciò che servirà al suo interno.
Quale potrebbe essere però la rilevanza storica di una struttura la quale esistenza dipende dalla “generosità del cuore” di individui e non, per esempio, di un governo che ne garantisce l’esistenza attraverso delle tasse obbligatorie?
Fortunatamente, per rispondere a questa domanda possiamo farci aiutare da dei precedenti storici. Lasciamo stare le piramidi egizie, quelle dei Maya, ed altre strutture storiche. Non perché non ci piacciono, semplicemente perché il precedente storico l’abbiamo trovato proprio nel contesto di questo Santuario.
Mi spiego: Questo Tabernacolo temporaneo-mobile costruito a priori per la permanenza, breve in termini storici, nel deserto, è servito in realtà per qualche anno in più.
Seguendo la cronologia degli eventi seguiti al ritorno del popolo ebraico in Terra Santa con Giosuè (Yehoshua) ci risulta che il Mishkàn, il Tabernacolo, fu eretto a Ghilgal, in prossimità del fiume Giordano. Qui riposò per 14 anni. Da qui si trasferì a Shilò ove acquisì una struttura più solida: le mura furono di pietra mentre il tetto rimase di telo come era nel deserto. Quanto durò la permanenza del Mishkàn a Shilò?
369 anni.
Totale: 39 anni nel deserto, 14 a Ghilgal, 369 a Shilò = 479 anni.
(Il Mishkàn fu poi a Nov e a Ghiv’òn per 13 e 44 anni rispettivamente, ma senza la presenza dell’Arca Santa).
Abbiamo quindi un Tabernacolo “temporaneo” che esiste per circa cinque secoli come unico punto di “incontro” tra l’umano e il divino.
Il Tabernacolo cessò di esistere quando fu costruito il Santuario fisso a Gerusalemme. Il Santuario costruito da Salomone (Shelomò) era quindici volte più vasto e tre volte più alto del Tabernacolo. La costruzione durò sette anni e impiegò migliaia di persone. Le festività d’inaugurazione furono senza precendenti.
Dopo la morte di Shelomò, il regno si divise in due. Il figlio di Shelomò rimase a Gerusalemme a capo di sole due tribù (Yehudà e Benyamin) mentre Yerov’am fu dichiarato re dalle rimanenti dieci tribù. I rapporti tra i due regni non erano buoni e il confine non rimase aperto. Yerov’am proibì ai suoi sudditi, membri delle dieci tribù, di fare il pellegrinaggio tre volte all’anno a Gerusalemme.
Il risultato fu che una grande parte del popolo ebraico non ebbe nessuno rapporto con quello che avrebbe dovuto essere il centro della vita spirituale del popolo. La situazione rimase così finché il regno delle dieci tribù fu conquistato e esiliato dagli Assiri (o pochi anni prima).
Il grande Tempio di Gerusalemme fu al centro della vita dell’intero popolo per… 29 anni.
A prescindere dei motivi storici che portarono a questa situazione, ci potrebbe essere anche una lezione per noi, oggi. Per il Tabernacolo del deserto era stata chiesta la libera offerta. La risposta era talmente entusiasta che ad un certo punto Moshè dovette chiedere alla gente di non portare ulteriori materiali perché ce n’erano più che a sufficienza. Di contrasto, il Santuario di Shelomò fu frutto di forti imposte e tasse, anche umane nella forma di schiavi/operai.
Secondo voi cos’è la lezione? Commentate qui!
Di rav Shalom Hazan
da un pensiero di Rav Zushe Greenberg
Niente Storie
5 agosto, 2011Non Storia – Memoria
Questo Shabbat si legge la famosa “visione di Isaia”, la profezia riguardo la futura redenzione. Lunedi’ sera e martedi’ ricorderemo la distruzione del Tempio quasi 2000 anni fa osservando il digiuno e il lutto del digiuno di Tisha’ BeAv.
Ma perché ricordare? Il mondo non può capire perché continuiamo a parlare della Shoà – che accadde solo sessant’anni fa! Per più di diciannove secoli, ricordiamo e osserviamo quest’evento che diventò il giorno più triste del nostro calendario. Perché? Quello che fu, fu. Perché tornare a delle visioni antiche e dolorose?
Si racconta che una volta Napoleone passò attraverso il quartiere ebraico di Parigi e sentì voci di pianti e lamentele che emanavano dalla sinagoga. Si fermò e chiese di che cosa si trattasse e gli venne detto che gli ebrei lamentavano la perdita del loro Tempio. “Quando è successo?” chiese l’imperatore. “Circa 1700 anni fa”, fu la risposta. A questo punto Napoleone disse che un popolo che non si dimentica del proprio passato è destinato a sempre avere un futuro.
Gli ebrei non hanno una storia, bensi’ una memoria. La storia può diventare un libro, un museo o dei relitti archeologici. La memoria vive e garantisce il futuro.
Anche tra le rovine del primo Tempio, ci siamo rifiutati di dimenticare, ed è proprio per questo che siamo tornati.
Proprio per questo rifiuto siamo riusciti a costruire comunità nel mondo intero, mentre quelli che ci hanno conquistato sono stati conquistati dal tempo. Oggi non esistono babilonesi, e i romani che si trovano a Roma non sono quelli che hanno distrutto il nostro Tempio. Quelle nazioni diventarono parte della storia mentre noi, ispirati dalla memoria, continuiamo a dire – e vivere – “‘am Israel chai”, il popolo d’Israele vive.
Adattato e tradotto da un articolo di
Rav Yossy Goldman pubblicato su Chabad.org
Tag:bet hamikdash, gerusalemme, santuario, tishà be'av
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