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Yossef ed I Fratelli

16 dicembre, 2011
Sprazzi di Saggezza…

Acqua e Scorpioni
La gelosia tra i figli di Ya’akov e il loro fratello Yossef degenerò fino al punto che decisero di liberarsi del fratello, gettandolo infine in un pozzo. “E il pozzo era vuoto – descrive la Torà – in esso non vi era dell’acqua”.

Se era vuoto, si chiedono i maestri del Talmud, è evidente che non vi era dell’acqua. Perché la ripetizione?

Per insegnarci che “Dell’acqua non vi era, ma vi erano serpenti e scorpioni…”

Da qui il messaggio anche a noi: Se mancasse l’acqua della vita ebraica, la Torà, il risultato non è un semplice vuoto; il vuoto sarebbe comunque riempito ma da elementi poco favorevoli… Soluzione? Ovviamente, cerchiamo di tenere il “pozzo” pieno…

Yossef ed I Fratelli

La storia si ripete all’interno di noi

Il conflitto tra Yossef e i suoi fratelli ed in maniera particolare tra Yossef e Yehudà, continuerà a segnare l’intera storia di Israele.

Il conflitto ha le sue radici nei matrimoni di Yaakov con Rachel e con Leah. La preferenza del marito era quella di sposare Rachel, il suo primo amore e colei che sarebbe considerata la moglie “primaria”. Ma fu Leah che sposò per prima e che fu la prima e fare nascere i suoi figli (nonché ad essere la madre della metà dei dodici figli di Yaakov). Tutti e sei i figli di Leah nacquero prima della nascita di Yossef, il primogenito di Rachel.

In quanto primogenito di Yaakov, sarebbe previsto che Reuven fosse il futuro leader del popolo. Dopo che inciampa nel peccato i suoi diritti di primogenitura saranno trasferiti a tre dei fratelli: Il sacerdozio a Levi (da cui discenderanno Moshe ed Aharon), il regno a Yehudà e il diritto di “primogenitura” (ossia di ereditare una porzione doppia dal padre) passa a Yossef. Infatti i discendenti di Yossef sono rappresentati da due delle tribù di Israele, Menashè ed Efrayim, ognuno dei quali riceveranno un territorio nella terra di Israel.

Yaakov trasferisce il suo amore verso Rachel al figlio Yossef, dimostrando preferenze nei suoi confronti (così come fu Rachel la moglie preferita). La gelosia naturale dei fratelli è alimentata dai sogni in cui Yossef prevede la sua posizione di importanza e di leadership.

Questo per i figli di Leah è da evitare assolutamente e quindi Shimon e Levi progettano di ucciderlo, Yehudà riesce a convincerli a venderlo come schiavo.

La loro vittoria è però prematura. Non passa molto tempo e si trovano in Egitto alle grazie di un vicerè severo che a loro insaputa non è altro che il fratello “disperso”. I fratelli si prostrarono di fronte a Yossef, confermando i suoi sogni anche senza accorgersene. Yehudà cerca di scontrarsi con il vicerè ma si trova a “perdere la partita”. Poi si racconta la scena toccante in cui Yossef si rivela ai fratelli e si riconciliano.

Ora Yossef è il leader incontestato dei fratelli e della giovane nazione. è lui il protettore e la loro fonte di sostentamento. Anche Yaakov gli si inchina.

Quando il popolo emerge dall’esilio egizio, è sotto la guida di Moshe ed Aharon, entrambi dalla tribù di Levi (figlio di Leah). E’ Yehoshua (Giosuè), discendente di Yossef, che guida la conquista della Terra Santa e prende il posto di Moshe. Trascorsa qualche generazione un altro discendente di Yossef, Ghideon, libera il popolo ebraico da un regno esterno e rimane alla loro guida. Per un periodo di oltre tre secoli, il Santuario, il centro della vita spirituale ebraica, si trovava a Shilò, nel territorio di Yossef. Quando il popolo chiede di nominare un monarca, sarà scelto per il trono un altro nipote di Rachel, Saul della tribù di Biniamin.

Dopo secoli dell’ascesa della stella di Yossef, la situazione cambia. David, nipote di Yehudà, è nominato re dal profeta e le sue difficoltà con Saul sembrano ripetere l’antica rivalità tra Leah e Rachel sulla guida di Israel.

Davìd regna sulla città di Hevron per sette anni mentre Saul è ancora riconosciuto come re del Nord. Poi la sovranità di David è riconosciuta da tutto il popolo di Israel. Davìd fa di Gerusalemme la propria capitale. Suo figlio, Shelomò, costruisce il Tempio sulla confine tra il territorio di Yehudà e quello di Biniamin. La spaccatura nel popolo sembra essere guarita, questa volta con la leadership fermamente nelle mani di Yehudà (Leah).

Questa situazione non sopravvive a lungo. Di seguito alla morte di Shelomò, Yerov’am, un discendente di Yossef, guida la rivolta contro la Casa di David. Altre tribù, anche quelle che discendono da Leah, si uniscono ad esso per rinnegare la leadership di Yehudà e la casa di David. Per quasi due secoli e mezzo la Terra Santa rimane divisa in due regni: Il Regno di Israel a nord, formato da dieci tribu sotto una guida “Yosseffina” e il regno di Yehudà al Sud (a cui rimane fedele la tribù di Biniamin).

I figli di Yossef non sono pronti ad accettare la sovranità di Yehudà.

La rottura esiste fino ad oggi. Un secolo prima della distruzione del Primo Tempio il re Assiro conquistò il regno di Israel del Nord ed esiliò le Dieci Tribù in luoghi in cui andarono poi persi. La storia ebraica da quel momento è la storia delle due tribù rimanenti ed una parte importante della tribù di Levi, nonché un piccolo numero di ebrei di altre tribù che abitavano nel territorio del Regno di Yehudà.

I profeti assicurano che ci sarà un giorno in cui le due metà del popolo saranno riunite per sempre. L’era messianica confermerà però la sovranità di Yehudà.

Gli insegnamenti chassidici spiegano che il conflitto Yossef-Yehudà rappresenta una scissione che si può esprimere in ogni aspetto della vita. E’ il conflitto tra crescita e appagamento personale da una parte e subordinazione e dedizione dall’altra.

Esistono molte motivazioni dietro le azioni umane ma cadono tutte sotto due categorie generali:

a) Per proprio beneficio (per piacere/godimento/realizzazione del proprio potenziale/raggiungere la trascendenza).

b) Per servire qualcosa di più grande di noi (la società/la storia/D-o).

In realtà tutte e due le categorie sono sempre presenti nella nostra vita. Da un lato abbiamo una forte volontà di migliorarci e di trarre il maggior beneficio da qualsiasi situazione ma ci accorgiamo anche che non è un semplice egoismo ma qualcosa di reale e di profondo nelle nostre anime.

Dall’altra parte siamo ugualmente consci di fare parte di qualcosa che è molto più grande di noi e che la nostra esistenza può essere valida solamente nel servire una realtà che è aldilà del nostro essere limitato e soggettivo.

Entrambe le posizioni hanno le proprie fonti nella parole della Torà e dei Saggi. La Torà (p.e. in Deuteronomio 11, Levitico 12) sottolinea che il progetto Divino della vita è per il bene dell’uomo, materialmente e spiritualmente. “Le mizvòt sono state comandate per elevare l’umanità” dice il Midrash. Il Talmud dichiara adirittura che ogni persona debba dire “Il mondo è stato creato per me”.

Dall’altra parte gli elogi più elevati fatti nei confronti di Moshe si esprimono nel chiamarlo “Un servo del Sig-re” (Deuteronomio 34:5). I nostri saggi ci esortano all’altruismo nella vita, in maniera che tutte le nostre opere fossimo riconoscenti di “essere stati creati solo per servire il Creatore” (Kiddushin 82b).

Questa dualità è indicata dai nostri saggi anche in termini di “studio” e di “azione” (o “Torà” e “mizvòt”), e dal dibattito su quale fosse più importante, lo studio o l’atto? Lo studio comporta lo sviluppo e il perfezionamento dell’io mentre l’atto rappresenta il servizio dell’io nei confronti della esigenza del momento. Perché l’uomo fu posto sulla terra? Per perfezionare sé stesso o per anullare il proprio ego nel servizio del Creatore?

Rachel, bella di aspetto, rappresenta la volontà di realizzazione e perfezionamente della persona, mentre Leah, umile e sottomessa, rappresenta la nostra capacità di servire e di auto-anullamento.

Le qualità di Rachel sono fortemente sottolineate nella persona bella e carismatica di Yossef che riesce a trasformare ogni circostanza in un successo personale.

Yehudà, invece, rappresenta l’umiltà e la motivazione di colui che vede la vita più come un dovere che come un senso di realizzazione. Fa sì che si eviti l’uccisione di Yossef. E’ pronto ad ammettere le sue colpe. Si offre come garante per la sicurezza del fratello Biniamin. E’ riconosciuto in quanto leader dei fratelli, in una leadership ancorata non tanto dalla confidenza e l’ambizione quanto dalla responsabilità e l’impegno.

Il concetto è indicato anche nei loro nomi: Yossef vuol dire “aggiungere” e rappresenta la crescita e la realizzazione delle mete, mentre Yehudà vuol dire “ammettere” e quasi “sottomettere”.

Queste due forze ed energie, all’interno di ogni persona, lottano per trovarsi a capo della persona. In ogni nostro pensiero o sentimento, in ogni scelta, azione e direzione che intraprendiamo nel corso della vita.

Esiste un punto in cui le due forze possono unirsi. Questo è il punto in cui si riconosce che il perfezionamento dell’io può diventare un progetto non egoistico ma altruistico. In che maniera? Se lo si fa perché è la volontà del Creatore.
In quel momento si apprezza che “Lo studio è più importante perché porta all’atto”.

Un “io” perfezionato, è un “io” che è meglio preparato a servire il proprio compito. In realtà, questo è proprio lo scopo della creazione.

Il maestro chassidico rabbì Zushe di Anipoli disse: “Se mi dicessero di cambiare posto con il nostro avo Avraham, lo rifiuterei. Cosa guadagnerebbe D-o da questo? Avrebbe comunque un Zushe ed un Avraham!”

Una persona che può conciliare tra queste due energie nel proprio profondo, è una persona che ha fatto pace tra Yehudà e Yossef. Il sovrano assoluto è Yehudà – la sottomissione alla volontà del Sign-re. Ma questo non vuol dire sopprimere l’aspetto di Yossef. Al contrario, le proprie passioni ed ambizioni sono integrate nel proprio “io” ebraico voluto e richiesto dalla Torà.

Basato sulle opere del Rebbe di Lubavitch

Le Tende Modeste

8 luglio, 2011

Le Tende Modeste

Nella Parashà della settimana si legge di Bil’am, profeta pagano che viene “assunto” per maledire il popolo ebraico ma che a suo malgrado non riesce che a benedirli.

In uno dei versi più belli e più citati, sul popolo ebraico Bilam si è espresso dicendo “Quanto son belle le tue tende, o Giacobbe! le tue dimore, o Israele!”
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Oltre il senso semplice e poetico delle parole i Maestri trovano un significato anche riferito alle vere e proprie tende, le dimore degli ebrei in quel momento nel deserto.

Cosa vi era di bello nelle loro tende? Non tanto le tende stesse quanto il loro posizionamento. Le aperture delle tende erano poste in maniera tale da non lasciare intravedere l’apertura della tenda vicina, nel rispetto della privacy e la modestia propria e del prossimo.

La bellezza delle dimore quindi dipende anche dall’etica e la morale di chi ci abita. Un maestoso palazzo abitato da una persona presuntuosa e poco rispettosa (come lo era Bilam) emana energie che non possono essere considerate “belle” mentre una semplice baracca in cui si vive l’amore e il rispetto reciproco vale più di ogni bene materiale.

Il tutto parte dalla modestia sia estetica che interna, quindi l’umiltà, che è l’attributo caratteriale che porta a tutte le altre caratteristiche positive.

Questo periodo in particolare, quello estivo, porta sempre con sé delle difficoltà sul piano della modestia cosa che indica, di conseguenza, che vi sono anche delle forti energie per contrastare quelle difficoltà e superarle.

di Rav Shalom Hazan

Questione di Vita e Morte

29 ottobre, 2010

La Parashà di questa settimana descrive gli eventi della vita di Avrahàm e i suoi dicendenti, dopo la morte di sua moglie, Sara. Con questo in mente, è difficile capire il senso del nome della Parashà (il quale rappresenta anche il contenuto della stessa): “Chayè Sarà”, ossia “la vita di Sara”!

I nostri maestri spiegano che la vita nella sua forma più autentica, avendo come fonte il Divino stesso, è anch’essa intrinsicamente eterna. È per questo che nell’ebraismo la morte è legata all’impurità, perché la mancanza di vita indica un vuoto di santità e purezza. Laddove il Divino è rivelato, c’è solo vitalità.

Questo ci aiuta a capire il detto del Talmùd “il nostro padre Ya’akov non morì” (Ta’anit 5b) con tanto di spiegazione: “attraverso la vita della sua progenia, è vivo anche lui”.

Un corpo può morire, ma non una vita (un’anima) legata alla fonte di vita come quella di un giusto come Ya’akov. Al contrario, sono proprio gli eventi che accadono dopo la morte che possono testimoniare sulla continuità della “vita” del deceduto.

Lo stesso vale riguardo la Parashà di questa settimana e la morte di Sara. Proprio qui, ove vengono descritti gli eventi che seguono la morte di Sara, si mette in evidenza la parte eterna della sua vita. È possibile vedere l’impatto che ha avuto sul suo ambiente – un impatto che non “muore”.

Gli eventi della Parashà sottolineano la mancanza della figura di Sara e al tempo stesso dimostrano la sua “vita”.

Avrahàm e Sara erano i primi ebrei che hanno vissuto nella futura Terra d’Israele ma proprio la sepoltura di Sara (nella caverna della Machpelà) è risultato dal primo acquisto di terreno da parte di un ebreo nella Terra Santa.

Sara aveva dedicato la vita al formare la prima famiglia ebrea; il matrimonio di Isacco e Rebecca, descritto in questa Parashà dimostra come il sucessore di Sara vivesse gli ideali sui quali Sara aveva fondato la casa ebraica, continuando le sue stesse tradizioni di accendere le candele dello Shabbàt, di seguire le leggi della purezza famigliare e di preparare le challòt per lo Shabbàt e tramandandole a tutte le generazioni future di donne ebree.

Il nome Chayè Sarà, quindi, esprime il vero messaggio di questa Parashà. Poiché fin quando Sara viveva ancora, la sua vita poteva essere vista come uno stato temporaneo, una vita con un inizio e una fine limitata da un corpo e da un tempo definito.

Solo dopo la sua morte si rivela l’impatto eterno della sua vita.

Basato sulle opere del Rebbe di Lubavitch, זי”ע

A cura di rav Shalom Hazan, Chabad Lubavitch di Monteverde

Educazione: Casa o Scuola?

27 novembre, 2009

Chi ha la responsabilità maggiore nell’educare le nostre prossime generazioni, i genitori o i maestri? La casa o la scuola? Mentre la logica ci detta che sono i genitori coloro che dovrebbero assumere la maggiore responsabilità, le azioni del pubblico parlano un’altra lingua. Scuola, programmi dopo-scuola, babysitter, PlayStation e Wii, fanno sì che genitori a volte vivono vite paralleli che si incrociano sempre di meno.

Questa settimana leggiamo il racconto di Giacobbe, Ya’akòv, esce dalla propria casa per arrivare in un paese per lui nuovo e strano. Arrivato alla città dello zio Labano, la città di Charàn, Ya’acòv non trova nessuna persona di fiducia. Suo zio, Lavàn, lo aveva ingannato. Lui comunque non perse la sua fede in D-o

Per molti anni lavorò duro e alla fine venne ricompensato, anche con la ricchezza, ma più importantemente con figli che seguono la via del loro padre, del nonno Yitzchàk e del bisnonno Avrahàm.

Da questa storia emerge un fatto sorprendente. Avrahàm ebbe un figlio che lo seguì ma anche un’altro che non lo fece, Yishmaèl. Anche Yitzchàk ebbe un figlio, Esaù, che non seguù la strada da lui indicata Sia Avrahàm che Yitzchàk allevarono i propri figli nella Terra Santa ma ciò non funse da garanzia per il loro benessere spirituale. I figli di Ya’acòv, da’altro canto, nacquero in “esilio”. Egli lavorava molto, anche di notte, e al tempo stesso dovette stare attento all’educazione dei figli e delle figlie in un ambiente estraneo che non conosceva il modo di vita di Avrahàm e Yitzchàk.

Nonostante tutto ciò, è proprio lui che meritò una progenia di giusti. La storia di Ya’acòv si rispecchia anche nella storia dei suoi nipoti in tutte le generazioni. Non è tanto il luogo nel quale ci troviamo quando il comportamento e il modo di vita che portiamo avanti che garantisce la continuità.

La Terra Santa di per sé non garantisce la santità dei suoi abitanti. Genitori che hanno la saggezza di trovare più tempo per i propri figli hanno poi la possibilità di godere di una posterità che li porta onore in qualunque luogo si trovino.

di rav Shalom Hazan