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Vedere, Udire, Riconoscere

6 gennaio, 2012
Prima, una barzelletta. Il cantore di un tempio vi entra e vede il rabbino che si inchina davanti all’Arca Santa in un’estasi spirituale e proclama “Oh D-o, io non sono nulla, sono un niente assoluto davanti a Te!”
Il cantore non viene a meno ed esclama anch’esso il suo essere nullo dinanzi al Sign-re.
A quel punto entra lo shammash e preso dal contesto si esprime in maniera simile.
“Mah” dice il rabbino al cantore, “guarda un po’ chi pensa di essere un niente”…

La vita del terzo e ultimo patriarca giunge alla sua fine nella nostra Parashà, in corrispondenza alla conclusione del primo libro dello Torà. Prima di morire Yaacov benedice ognuno dei figli con un messaggio particolare.

Secondo gli insegnamenti dei maestri, in particolare nell’ambito mistico, i messaggi trasmessi da Yaacov quel giorno sono rivolti, in realtà, a tutti i suoi discendenti in perpetuo. Ogni anima contiene tutte e dodici le caratterestiche specifiche di ognuna delle tribù, caratteristiche attraverso le quali la persona si rapporta con il Sign-re.

Questi messaggi sono allusi anche nei nomi dei dodici figli di Yaacov. Di seguito solamente pochi esempi.

La parola Reuven, il nome del primo figlio di Yaacov, è legato alla vista (ראובן – ראיה) mentre Shimòn è legato all’udito (שמעון – שמיעה).

Reuven come concetto si riferisce alla capacità dell’anima di vivere un legame con il Sign-re non solo al livello intellettuale ma anche “visivo”. Cosa vuol dire? Semplicemente che l’anima riconosce la realtà Divina come se fosse un fatto o un evento testimoniato da una persona con i propri occhi. La vista ha un effetto talmente forte su colui che vede che non potrà essere convinto da prove o idee contrarie a ciò che ha visto. Non rimangono dubbi.

L’anima alimenta la propria “visione” del Divino attraverso la meditazione profonda che suscita in essa un profondo amore verso D-o (il concetto si esprime anche nel mondo materiale in quanto l’amore e l’attrazione è reso possibile dalla vista).

Il concetto di Reuven è legato alla prima parte dello Shemà (Veahavtà) in cui si parla dell’amore che si prova nei confronti di D-o.

Il concetto di Shimòn, invece, si riferisce al legame intellettuale, simile a ciò che potrebbe essere udito da lontano. La persona che sente raccontare un evento da una fonte attendibile ci potrebbe credere, ma non è comunque paragonabile a colui che lo ha visto.

Un’esperienza di questo tipo produce rispetto e timore, non vicinanza ed amore. Udire, comprendere, la grandezza del Sign-re fa sì che la persona si senta piccola, quasi con un istinto di “fare un passo indietro”.

Questo percorso dell’anima è legato al secondo passaggio dello Shemà, intitolato “Vehayà…Shamo’a” Ossia “Quando darai ascolto ai comandamenti…” ed è legato alla “yirà” il timore, contrapposto all’amore del primo paragrafo.

Da qui arriviamo a Levì, terzo dei figli, il quale nome connota il legame e l’attaccamento e si riferisce, in questo contesto, all’attaccamento al Sign-re attraverso lo studio della Torà che è la saggezza Divina. (Perché proprio attraverso lo studio si considera l’attaccamento maggiore al Creatore? C’è un motivo specifico ma preferisco non allungare troppo nella newsletter; scrivimi se ti interessa e te lo mando).

Questa terza fase è legata al brano che segue lo Shemà, Emet Veiazìv, che parla della autenticità della Torà.

I primi tre figli rappresentano con queste idee le tre colonne su cui il mondo si mantiene (Avot 1:2): Torà, Tefillà e Azioni di Beneficenza.

Reuven rappresenta la colonna della Beneficenza. Poiché un autentico amore del Creatore produce un amore per le sue creature e un desiderio di effettuare del bene.

Shimon rappresenta la preghiera, ossia lo sforzo di chi è lontano di elevarsi ed avvicinarsi al Divino.

Levi rappresenta la colonna della Torà.

Una volta l’anima ha potuto avere queste tre esperienze (che ormai abbiamo capito non si escludono l’un l’altra) è pronta ad affrontare il concetto di Yehudà – il nome del quarto fratello. Yehudà dalla parola hoda’à, riconoscimento, ammettere. Nell’ammettere la persona si sottomette totalmente, in una trasparenza silenziosa. Questa è l’espressione della Amidà, in cui la persona silenziosamente si rivolge ad Hashem come un serve dinanzi al re, annullando completamente il proprio io.

Una delle lezioni da trarre da ciò è che non è semplice annullarsi. E’ solo dopo aver studiato profondamente, amato e sentito il timore di Hashem che la persona può realmente annullare il proprio ego.

Basato su un discorso (molto più lungo e dettagliato di quanto è stato possibile includere qui) del Rebbe Shneur Zalman, fondatore di Chabad. Pubblicato in Torah Ohr.

Adattato da Shalom Hazan e Yossi Marcus

Yossef ed I Fratelli

16 dicembre, 2011
Sprazzi di Saggezza…

Acqua e Scorpioni
La gelosia tra i figli di Ya’akov e il loro fratello Yossef degenerò fino al punto che decisero di liberarsi del fratello, gettandolo infine in un pozzo. “E il pozzo era vuoto – descrive la Torà – in esso non vi era dell’acqua”.

Se era vuoto, si chiedono i maestri del Talmud, è evidente che non vi era dell’acqua. Perché la ripetizione?

Per insegnarci che “Dell’acqua non vi era, ma vi erano serpenti e scorpioni…”

Da qui il messaggio anche a noi: Se mancasse l’acqua della vita ebraica, la Torà, il risultato non è un semplice vuoto; il vuoto sarebbe comunque riempito ma da elementi poco favorevoli… Soluzione? Ovviamente, cerchiamo di tenere il “pozzo” pieno…

Yossef ed I Fratelli

La storia si ripete all’interno di noi

Il conflitto tra Yossef e i suoi fratelli ed in maniera particolare tra Yossef e Yehudà, continuerà a segnare l’intera storia di Israele.

Il conflitto ha le sue radici nei matrimoni di Yaakov con Rachel e con Leah. La preferenza del marito era quella di sposare Rachel, il suo primo amore e colei che sarebbe considerata la moglie “primaria”. Ma fu Leah che sposò per prima e che fu la prima e fare nascere i suoi figli (nonché ad essere la madre della metà dei dodici figli di Yaakov). Tutti e sei i figli di Leah nacquero prima della nascita di Yossef, il primogenito di Rachel.

In quanto primogenito di Yaakov, sarebbe previsto che Reuven fosse il futuro leader del popolo. Dopo che inciampa nel peccato i suoi diritti di primogenitura saranno trasferiti a tre dei fratelli: Il sacerdozio a Levi (da cui discenderanno Moshe ed Aharon), il regno a Yehudà e il diritto di “primogenitura” (ossia di ereditare una porzione doppia dal padre) passa a Yossef. Infatti i discendenti di Yossef sono rappresentati da due delle tribù di Israele, Menashè ed Efrayim, ognuno dei quali riceveranno un territorio nella terra di Israel.

Yaakov trasferisce il suo amore verso Rachel al figlio Yossef, dimostrando preferenze nei suoi confronti (così come fu Rachel la moglie preferita). La gelosia naturale dei fratelli è alimentata dai sogni in cui Yossef prevede la sua posizione di importanza e di leadership.

Questo per i figli di Leah è da evitare assolutamente e quindi Shimon e Levi progettano di ucciderlo, Yehudà riesce a convincerli a venderlo come schiavo.

La loro vittoria è però prematura. Non passa molto tempo e si trovano in Egitto alle grazie di un vicerè severo che a loro insaputa non è altro che il fratello “disperso”. I fratelli si prostrarono di fronte a Yossef, confermando i suoi sogni anche senza accorgersene. Yehudà cerca di scontrarsi con il vicerè ma si trova a “perdere la partita”. Poi si racconta la scena toccante in cui Yossef si rivela ai fratelli e si riconciliano.

Ora Yossef è il leader incontestato dei fratelli e della giovane nazione. è lui il protettore e la loro fonte di sostentamento. Anche Yaakov gli si inchina.

Quando il popolo emerge dall’esilio egizio, è sotto la guida di Moshe ed Aharon, entrambi dalla tribù di Levi (figlio di Leah). E’ Yehoshua (Giosuè), discendente di Yossef, che guida la conquista della Terra Santa e prende il posto di Moshe. Trascorsa qualche generazione un altro discendente di Yossef, Ghideon, libera il popolo ebraico da un regno esterno e rimane alla loro guida. Per un periodo di oltre tre secoli, il Santuario, il centro della vita spirituale ebraica, si trovava a Shilò, nel territorio di Yossef. Quando il popolo chiede di nominare un monarca, sarà scelto per il trono un altro nipote di Rachel, Saul della tribù di Biniamin.

Dopo secoli dell’ascesa della stella di Yossef, la situazione cambia. David, nipote di Yehudà, è nominato re dal profeta e le sue difficoltà con Saul sembrano ripetere l’antica rivalità tra Leah e Rachel sulla guida di Israel.

Davìd regna sulla città di Hevron per sette anni mentre Saul è ancora riconosciuto come re del Nord. Poi la sovranità di David è riconosciuta da tutto il popolo di Israel. Davìd fa di Gerusalemme la propria capitale. Suo figlio, Shelomò, costruisce il Tempio sulla confine tra il territorio di Yehudà e quello di Biniamin. La spaccatura nel popolo sembra essere guarita, questa volta con la leadership fermamente nelle mani di Yehudà (Leah).

Questa situazione non sopravvive a lungo. Di seguito alla morte di Shelomò, Yerov’am, un discendente di Yossef, guida la rivolta contro la Casa di David. Altre tribù, anche quelle che discendono da Leah, si uniscono ad esso per rinnegare la leadership di Yehudà e la casa di David. Per quasi due secoli e mezzo la Terra Santa rimane divisa in due regni: Il Regno di Israel a nord, formato da dieci tribu sotto una guida “Yosseffina” e il regno di Yehudà al Sud (a cui rimane fedele la tribù di Biniamin).

I figli di Yossef non sono pronti ad accettare la sovranità di Yehudà.

La rottura esiste fino ad oggi. Un secolo prima della distruzione del Primo Tempio il re Assiro conquistò il regno di Israel del Nord ed esiliò le Dieci Tribù in luoghi in cui andarono poi persi. La storia ebraica da quel momento è la storia delle due tribù rimanenti ed una parte importante della tribù di Levi, nonché un piccolo numero di ebrei di altre tribù che abitavano nel territorio del Regno di Yehudà.

I profeti assicurano che ci sarà un giorno in cui le due metà del popolo saranno riunite per sempre. L’era messianica confermerà però la sovranità di Yehudà.

Gli insegnamenti chassidici spiegano che il conflitto Yossef-Yehudà rappresenta una scissione che si può esprimere in ogni aspetto della vita. E’ il conflitto tra crescita e appagamento personale da una parte e subordinazione e dedizione dall’altra.

Esistono molte motivazioni dietro le azioni umane ma cadono tutte sotto due categorie generali:

a) Per proprio beneficio (per piacere/godimento/realizzazione del proprio potenziale/raggiungere la trascendenza).

b) Per servire qualcosa di più grande di noi (la società/la storia/D-o).

In realtà tutte e due le categorie sono sempre presenti nella nostra vita. Da un lato abbiamo una forte volontà di migliorarci e di trarre il maggior beneficio da qualsiasi situazione ma ci accorgiamo anche che non è un semplice egoismo ma qualcosa di reale e di profondo nelle nostre anime.

Dall’altra parte siamo ugualmente consci di fare parte di qualcosa che è molto più grande di noi e che la nostra esistenza può essere valida solamente nel servire una realtà che è aldilà del nostro essere limitato e soggettivo.

Entrambe le posizioni hanno le proprie fonti nella parole della Torà e dei Saggi. La Torà (p.e. in Deuteronomio 11, Levitico 12) sottolinea che il progetto Divino della vita è per il bene dell’uomo, materialmente e spiritualmente. “Le mizvòt sono state comandate per elevare l’umanità” dice il Midrash. Il Talmud dichiara adirittura che ogni persona debba dire “Il mondo è stato creato per me”.

Dall’altra parte gli elogi più elevati fatti nei confronti di Moshe si esprimono nel chiamarlo “Un servo del Sig-re” (Deuteronomio 34:5). I nostri saggi ci esortano all’altruismo nella vita, in maniera che tutte le nostre opere fossimo riconoscenti di “essere stati creati solo per servire il Creatore” (Kiddushin 82b).

Questa dualità è indicata dai nostri saggi anche in termini di “studio” e di “azione” (o “Torà” e “mizvòt”), e dal dibattito su quale fosse più importante, lo studio o l’atto? Lo studio comporta lo sviluppo e il perfezionamento dell’io mentre l’atto rappresenta il servizio dell’io nei confronti della esigenza del momento. Perché l’uomo fu posto sulla terra? Per perfezionare sé stesso o per anullare il proprio ego nel servizio del Creatore?

Rachel, bella di aspetto, rappresenta la volontà di realizzazione e perfezionamente della persona, mentre Leah, umile e sottomessa, rappresenta la nostra capacità di servire e di auto-anullamento.

Le qualità di Rachel sono fortemente sottolineate nella persona bella e carismatica di Yossef che riesce a trasformare ogni circostanza in un successo personale.

Yehudà, invece, rappresenta l’umiltà e la motivazione di colui che vede la vita più come un dovere che come un senso di realizzazione. Fa sì che si eviti l’uccisione di Yossef. E’ pronto ad ammettere le sue colpe. Si offre come garante per la sicurezza del fratello Biniamin. E’ riconosciuto in quanto leader dei fratelli, in una leadership ancorata non tanto dalla confidenza e l’ambizione quanto dalla responsabilità e l’impegno.

Il concetto è indicato anche nei loro nomi: Yossef vuol dire “aggiungere” e rappresenta la crescita e la realizzazione delle mete, mentre Yehudà vuol dire “ammettere” e quasi “sottomettere”.

Queste due forze ed energie, all’interno di ogni persona, lottano per trovarsi a capo della persona. In ogni nostro pensiero o sentimento, in ogni scelta, azione e direzione che intraprendiamo nel corso della vita.

Esiste un punto in cui le due forze possono unirsi. Questo è il punto in cui si riconosce che il perfezionamento dell’io può diventare un progetto non egoistico ma altruistico. In che maniera? Se lo si fa perché è la volontà del Creatore.
In quel momento si apprezza che “Lo studio è più importante perché porta all’atto”.

Un “io” perfezionato, è un “io” che è meglio preparato a servire il proprio compito. In realtà, questo è proprio lo scopo della creazione.

Il maestro chassidico rabbì Zushe di Anipoli disse: “Se mi dicessero di cambiare posto con il nostro avo Avraham, lo rifiuterei. Cosa guadagnerebbe D-o da questo? Avrebbe comunque un Zushe ed un Avraham!”

Una persona che può conciliare tra queste due energie nel proprio profondo, è una persona che ha fatto pace tra Yehudà e Yossef. Il sovrano assoluto è Yehudà – la sottomissione alla volontà del Sign-re. Ma questo non vuol dire sopprimere l’aspetto di Yossef. Al contrario, le proprie passioni ed ambizioni sono integrate nel proprio “io” ebraico voluto e richiesto dalla Torà.

Basato sulle opere del Rebbe di Lubavitch