Chabad House

E’ con un cuore spezzato che mi siedo a scrivere questa edizione della E-Torà. L’intero popolo ebraico è in lutto ed è addolorato per il massacro dei nostri correligionari e di tutte le persone innocenti uccise. Un dolore ingrandito dal fatto che tra le vittime c’erano i nostri amici e colleghi rav Gavriel e Rivkà Holtzberg, direttori del centro Chabad di Mombai, specificamente preso di mira dai terroristi.

Che cosa facevano a Mombai queste anime pure?

Sessant’anni fa, sulle ceneri della Shoà, il Rebbe di Lubavitch guardò il mondo e capì che cosa doveva fare. Dal suo piccolo ufficio a Brooklyn, senza fondi, senza un’infrastruttura, Chiamò una giovane coppia e li disse di preparare le valigie per andare in una città distante, per trovare degli ebrei. Se sono tristi fateli essere contenti, se hanno fame dateli da mangiare, se hanno delle domande dateli delle risposte, se sono stanchi dateli l’opportunità di rilassare – parlate con loro, incoraggiateli e rivelate la divinità che c’è in essi: insegnateli la Torà e le mizvòt.

Una piccola scintilla di luce nel mondo.

Casablanca, Tunisi, Melbourne, Manchester, Milano, Detroit, Miami… piccole scintille di luce nel mondo.

Le scintille si allargarono e negli sessanti il Rebbe crea il nome “Chabad House”. Non “Centro Chabad” o “Istituzione Chabad” ma semplicemente “Chabad House”. Un posto dove tutti sono benvenuti, dove tutti si sentono a casa.

Con il passare degli anni queste “case” diventarono 3.500 istituzioni – scuole, templi, mikvé, asili, centri sociali, centri giovanili, mense per gli indigenti, cliniche… il tutto gestito da 4.000 coppie di “Shluchim”-emissari in ogni angolo del mondo.

Ma rimangono sempre dei “Chabad House”.

Con il passare degli anni questo diventò il sogno e la speranza di centinaia di giovani, quello di unirsi a questo “esercito” di Shluchim del Rebbe, quello di andare in un posto e aprire un “Chabad House”.

Lo scopo? Non di aprire grandi istituzioni, costruire grandi edifici (questi saranno solo un mezzo) – lo scopo è quello di poter avvicinare anche un solo ebreo al suo ebraismo.

Piccole scintille di luce nel mondo.

Tashkent, Kathmandu, Rio de Janeiro, Salt Lake City, Bucharest, Koh-Sa-Moi e… Mombai.

Posso immaginare la gioia di Gabi e Rivki quando arrivarono a Mombai nel 2003. Lo stesso anno che siamo arrivati a Monteverde.

In un semplice mercoledì sera, a tavola con ospiti provenienti da backgrounds completamente diversi – materialmente e spiritualmente – queste scintille si sono spente.
Siamo noi che le riaccendiamo.

So bene cosa vorrebbero Gabi e Rivki che noi facessimo in loro memoria.
Creiamo delle scintille di luce nel mondo.

Oggi mando un appello: Costruiamo delle nostre case e dalla nostra vita un “Chabad House”. Non serve un sito internet, dei volantini o un grande edificio. Serve solo un tavolo e qualche sedia. Invita un amico, un vicino, un parente. Se sono tristi, falli gioire. Se sono giù, aiuta ad alzarli la morale.

Se hanno delle domande, aiutali a trovare delle risposte. Se hanno fame dalli da mangiare. Parla con loro, incoraggiali e portali un po’ più vicino a D-o.

E non bisogna andare a Mombai per farlo – qui nelle nostre case creiamo le scintille e aggiungiamo alla luce.

Iniziamo ad accendere i lumi dello Shabbàt.

Iniziamo a mettere i Tefillìn. Troppo spaventoso l’impegno? Intanto fallo una volta… La Mitzvà ha poi una natura curiosa… si tira dietro un’altra Mitzvà…

Manca una mezuzà a casa? Impegnamoci per metterla.

Controlliamo le mezuzòt esistenti.

Studiamo un po’ di Torà.

Sopratutto tuffiamoci nella mitzvà di Ahavat Yisrael, l’amore verso il prossimo. Alza il telefono e chiama una persona con la quale “non ci parli più”. Chiedi scusa anche se hai ragione e riavvia il rapporto.

Aggiungiamo Luce.

Shabbàt Shalom,

Rav Shalom Hazan – Chabad House di Monteverde, Roma

Il Gan Yeladìm di Monteverde si chiamerà da oggi “Gan Rivkà”
la parola Gan è l’acronimo di Gavriel Noach e il nome onora quindi la memoria di Gabi e Rivkà הי”ד.

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