Archive for novembre 2009

Educazione: Casa o Scuola?

27 novembre, 2009

Chi ha la responsabilità maggiore nell’educare le nostre prossime generazioni, i genitori o i maestri? La casa o la scuola? Mentre la logica ci detta che sono i genitori coloro che dovrebbero assumere la maggiore responsabilità, le azioni del pubblico parlano un’altra lingua. Scuola, programmi dopo-scuola, babysitter, PlayStation e Wii, fanno sì che genitori a volte vivono vite paralleli che si incrociano sempre di meno.

Questa settimana leggiamo il racconto di Giacobbe, Ya’akòv, esce dalla propria casa per arrivare in un paese per lui nuovo e strano. Arrivato alla città dello zio Labano, la città di Charàn, Ya’acòv non trova nessuna persona di fiducia. Suo zio, Lavàn, lo aveva ingannato. Lui comunque non perse la sua fede in D-o

Per molti anni lavorò duro e alla fine venne ricompensato, anche con la ricchezza, ma più importantemente con figli che seguono la via del loro padre, del nonno Yitzchàk e del bisnonno Avrahàm.

Da questa storia emerge un fatto sorprendente. Avrahàm ebbe un figlio che lo seguì ma anche un’altro che non lo fece, Yishmaèl. Anche Yitzchàk ebbe un figlio, Esaù, che non seguù la strada da lui indicata Sia Avrahàm che Yitzchàk allevarono i propri figli nella Terra Santa ma ciò non funse da garanzia per il loro benessere spirituale. I figli di Ya’acòv, da’altro canto, nacquero in “esilio”. Egli lavorava molto, anche di notte, e al tempo stesso dovette stare attento all’educazione dei figli e delle figlie in un ambiente estraneo che non conosceva il modo di vita di Avrahàm e Yitzchàk.

Nonostante tutto ciò, è proprio lui che meritò una progenia di giusti. La storia di Ya’acòv si rispecchia anche nella storia dei suoi nipoti in tutte le generazioni. Non è tanto il luogo nel quale ci troviamo quando il comportamento e il modo di vita che portiamo avanti che garantisce la continuità.

La Terra Santa di per sé non garantisce la santità dei suoi abitanti. Genitori che hanno la saggezza di trovare più tempo per i propri figli hanno poi la possibilità di godere di una posterità che li porta onore in qualunque luogo si trovino.

di rav Shalom Hazan

Sfogarsi o Non Sfogarsi?

19 novembre, 2009

Il sig. Rossi tra poco arriverà a casa tardi dopo una giornata di lavoro. Ormai è “stracotto” ed è pronto a rilassarsi…sfogandosi con la propria moglie dal momento che varca la soglia della porta.

La sig.ra Rossi, stanca anche lei da una giornata di lavoro ed altri impegni, aspetta l’arrivo del marito per rilassarsi..sfogandosi con lui.

Basta leggere questo e sappiamo già come andrà a finire la serata a casa Rossi…

E’ giusto sfogarsi con il prossimo? E’ legittimo considerare il proprio marito / la propria moglie un bersaglio sul quale lanciare il proprio sfogo?

Secondo il Rebbe di Lubavitch un’episodio raccontato nella Parashà di questa settimana allude ad una risposta a questa domanda.

Rivkà (Rebecca) rimane incinta dopo molti anni di attesa solo per vivere una gravidanza estremamente difficile. Non sapendo come interpretare questa benedizione coperta di grande difficoltà, Rivkà và alla ricerca di qualche indicazione profetica per trovare un po’ di tranquillità.

Secondo le fonti midrashiche (riportate anche da Rashì in loco) Rivkà si reca dai maestri Shem (figlio di Noach) ed ‘Ever (nipote di Shem) i quali trasmettevano fedelmente la tradizione divina trasmessa da Adamo ed Eva fin dall’inizio di tutto.

Fatto alquanto strano dato che Shem non risiedeva nelle immediate vicinanze, suggerendo quindi che Rivkà abbia intrapreso un viaggio per consigliarsi con esso, nonostante abbia “dentro casa” la possibilità di consultarsi con due grandi potenze spirituali nelle persone di Abramo ed Isacco!

Questo racconto ci indica, secondo il Rebbe in un suo commento sulla Parashà, quanto sia importante considerare attentamente i sentimenti degli altri, sopratutto le persone che ci sono più vicine. La disperazione di Rivkà avrebbe potuto recare un profondo dispiacere al marito. Lei evita quindi di coinvolgerlo e cerca una risposta altrove.

Il sig. Rossi bussa* alla porta ed entra sorridente. “Com’è andata la tua giornata, cara?” “Abbastanza bene”, gli risponde la sig.ra, “vogliamo cenare prima? Poi ci sarà tempo per parlarne”…

di rav Shalom Hazan

*Non è un errore: secondo la Halachà (legge ebraica) anche entrando nella propria casa bisognerebbe bussare o comunque pre-annunciare la propria presenza, per evitare di cogliere di sorpresa chi si trova a casa.

Sefer Torà ricorda Mumbai

13 novembre, 2009

Questo weekend si svolge nella sede di Brooklyn la riunione annuale di circa 5,000 emissari del movimento Chabad Lubavitch nel mondo.

E’ stato scritto e inaugurato un Sefer Torah in memoria di Rav Gabriel e Rivka Holzberg, direttori del centro Chabad di Mumbai, e di tutte le vittime del massacro dell’anno scorso.

Alcune immagini della festività ieri sera a Brooklyn:

rav Yehuda Krinsky, segretario del Rebbe e attualmente direttore delle organizzazioni a capo del movimento Lubavitch, mette la corona sul Sefer.

Rav Yehuda Krinsky, segretario del Rebbe e direttore del consiglio mondiale Lubavitch, mette la corona

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Rivestimeno del Sefer
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rav Shimon Rosenberg, padre di Rivka, scrive una delle ultime lettere.

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rav Nachman Holzberg, padre di rav Gabi

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rav Rosenberg alza il Sefer (Hagbaha)

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Il Sefer viene portato con canti e balli al tempio del Rebbe

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Il Sefer Torà del Rebbe "viene incontro" a quello nuovo

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Le Hakafot (balli con tutti i Sefarìm)

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13 novembre, 2009

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Forestiero e Cittadino

13 novembre, 2009

“Sono un forestiero e un cittadino”. E’ un po’ strano presentarsi in questo modo… “Ma sei cittadino o sei forestiero?!” gli potremmo rispondere…

Ebbene, il nostro padre Avrahàm (Abramo) si presenta in questa maniera al popolo dei Khittei (gli ittiti), avviandosi in una trattativa per l’acquisto di un terreno per seppellirci la moglie Sarah.

Una lettura attenta del testo ci rivela una trattativa che va oltre quella semplice per “l’affare” coinvolto. In effetti è un mini-dibattito culturale.

“Datemi una proprietà di sepoltura affinché io seppellisca il mio morto”, chiede Avrahàm. I Khittei rispondono, sorpresi, come a dire “ma che domanda”, se sei un cittadino è ovvio che usufruisci dei servizi di base offerti a tutti i membri della società, tra i quali quello di poter seppellire i propri morti. “Nessuno di noi ti negherà la propria tomba” gli rispondono gli abitanti del posto.

Ma Avrahàm non accetta la proposta offertagli, esso vuole un terreno specifico e vuole pagare “prezzo pieno, come proprietà di sepoltura”.

Anche il capo dei Khittei in quel momento, un certo ‘Efron, proprietario del terreno in questione, lo offre ad Avrahàm gratuitamente (questo ci indica anche il rispetto del quale godeva Avrahàm nella zona).

Ma no, Avrahàm non è pronto a cedere. Vuole un terreno di proprietà, acquistato e non ricevuto in dono. Alla fine paga quattrocento sicli d’argento per acquistare la grotta e il terreno di Makhpelà nella città di Khevròn. Lì sarà sepolto anche lui, il figlio Yizchàk e la sua moglie Rivkà (Isacco e Rebecca) ed il nipote Yaakov (Giacobbe) e la moglie Leah.

Cosa si nasconde dietro questa bizzarra trattativa?

E’ la condizione dell’ebreo: Forestiero e cittadino. L’ebreo, dove si trova, è cittadino. Parla la lingua, rispetta le leggi, difende la patria, studia, commercia, ecc. Al tempo stesso è forestiero. L’ideale che guida molti aspetti della sua vita è estraneo rispetto agli usi e costumi del suo paese.

Negli ultimi secoli l’ebreo ha dimostrato di potere essere “cittadino” nel pieno senso della parola. La vera forza dell’ebreo si esprime però nel dimostrare al tempo stesso anche l’aspetto “forestiero” dell’essere ebreo, ricordando che la possibilità di essere un bravo “cittadino” è anche grazie al fatto che è un “forestiero”…

di rav Shalom Hazan

Falsità Giustificate

6 novembre, 2009

Rav Levi Yizchak di Bardiciov incontrò un uomo mentre questo fumava di Shabbàt. “Caro figlio mio”, gli disse, “ti sei forse dimenticato che oggi è Shabbàt?” “No rabbino, so benissimo che oggi è Shabbàt”, rispose l’ebreo. “Allora forse ti sei dimenticato che di Shabbàt non è consentito fumare?!” “Stia tranquillo rabbino, so bene che di Shabbàt non si può fumare!”

A quel punto il rav alzò gli occhi verso il cielo e disse “Padrone del Mondo! Guarda come sono bravi i tuoi figli – non dicono mai una bugia!”

Il tema delle bugie e la falsità ricorre, anche se non in primo piano, nelle porzioni della Torà che leggiamo durante queste settimane. Avrahàm e Sarah vanno in Egitto dicendo che sono fratello e sorella e poi la situazione si ripete quando viaggiano a Gheràr, nella terra dei filistei. Troviamo che il figlio e la nuora, Yitzchàk e Rivkà (Isacco e Rebecca) raccontano la stessa storia quando viaggiano.

In un primo momento il fenomeno ci sembra un po’ strano. Persone che ricordiamo con un rispetto dato il loro essere considerati “giusti” in tutti gli aspetti della loro vita, che si “lasciano andare” con delle “piccole bugie”…

Con un po’ di riflessione ci accorgiamo però che si trattava di veri e propri pericoli di morte, considerando il livello morale della gente in alcuni luoghi in quell’epoca (purtroppo sono cose che si verificano ancora oggigiorno), dovevano prendere in seria considerazione il fatto che per appropriarsi di una donna di bell’aspetto erano più che pronti a farla “perdere” il marito.

[Questo ci apre la porta ad un’altro tema: Persone che hanno “timore del Cielo” a sufficienza per non prendere una donna sposata, non hanno alcun impedimento morale a uccidere il marito… Anche questo è un problema che si verifica oggi, ovviamente in altre maniere e in situazioni. Forse ne parleremo in un’altro momento.]

In diverse fonti talmudiche i saggi insegnano che esistono situazioni nelle quali non solo è permesso ma è adirittura consigliato non dire la verità. Un esempio classico è quello di dire una falsità per evitare un litigio, una discussione o una rottura di rapporti tra due persone o due gruppi. “La pace è più grande”.

Inoltre, secondo il Talmud bisognerebbe “uscire” dalla corsia “verità” anche per far sì che una persona si senta a pace con se stessa. L’esempio citato è quello della mitzvà di fare gioire lo sposo e la sposa al loro matrimonio. Per fare gioire lo sposo gli si comunicano le lodi della sposa che ha preso. “Una sposa bella e gentile”, secondo la casa di studio di Hillel. Su questo la casa di Shammai (più “conservatrice” di quella di Hillel) non poteva essere d’accordo: “La Torà dice che non si possono dire bugie! E se non è bella o gentile?”

“Se qualcuno acquista un bene al mercato, bisogna lodarlo ai suoi occhi o renderlo disprezzato ai suoi occhi?” Questa la risposta della casa di Hillel. Non è più una questione di dire la verità o di dire una bugia, è una questione di rapporti sociali corretti.

E la pace è più grande.

di rav Shalom Hazan